MAXIME, IL RUGBISTA CHE PORTAVA I MALATI IN OSPEDALE
Con il campionato di rugby sospeso per il Covid, non è stato troppo a pensarci. Lui che giocava per le Zebre e che indossava pure la casacca azzurra della nazionale di palla ovale (nel ruolo di pilone), ha deciso di dedicare quel periodo di tempo libero inaspettato per dedicarsi al volontariato. E si è messo la tuta da soccorritore dei volontari della Croce Gialla di Parma.
Per circa 70 giorni Maxime Mbandà — 28 anni e 106 chili di muscoli, il papà originario del Congo e la mamma beneventana — ha portato in giro i pazienti a bordo di un’ambulanza, facendo turni massacranti di 12-14 ore (ma una volta è arrivato anche a 17 ore di fila e ha lavorato pure il giorno del suo compleanno, perché quando non era in servizio si sentiva in colpa), sovente saltando i pasti.
Mascherina e guanti, c’era da prendere a casa i malati di Covid e portarli in ospedale. «Ho visto tanti soffrire e non ero abituato a certe scene: mi sono ritrovato spesso a piangere» ha raccontato il «flanker» (la terza linea ala del rugby). Un’esperienza che lo ha segnato, «ma da cui sono uscito più forte». Il 2 giugno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha ringraziato nominandolo Cavaliere al merito. Con il virus, Maxime ha dovuto nuovamente confrontarsi quando il padre, chirurgo, e la madre, insegnante, si sono ammalati di Covid. «Sulle prime papà se l’è vista davvero brutta» dice il «pilone» azzurro che tramite i social ha chiesto un aiuto, quello del plasma iperimmune. «Ci sono stati dei donatori, hanno salvato papà». Che sta per tornare a casa dove lo aspetta la moglie, guarita.
Nel frattempo Maxime si è laureato in Scienze motorie. Ma il regalo più bello di questo strano 2020 è arrivato qualche giorno fa, con la nascita del figlio Mata Leone. Che tradotto dal congolese vuol dire «primogenito».