MATTIA, IL DICIOTTENNE INTUBATO INCORAGGIAVA LA MAMMA
La corsa in ospedale a diciott’anni, la voce del medico in terapia intensiva: «Ora chiama la mamma, dille che ti intubiamo, che andrà tutto bene». Poi, il buio. «Non ho obbedito — racconta Mattia Guarnieri —. Ho preso il telefono e le ho mandato solo un messaggio, pensando che così avrebbe avuto meno ansia e quel WhatsApp lo avrebbe riletto anche nei momenti più difficili: “Ciao mamma, devo andare, ma stai tranquilla. Ti amo e lotterò per te”. Poi ho spento il telefono».
Due settimane in rianimazione, con pochi ricordi: «Un gran pasticcio, l’influenza che non se ne va, il viaggio in ambulanza e il soccorritore che mi porta in ospedale. Mi volto e lo vedo: è un amico di famiglia. La mia paura, quella sì, la ricordo: ricordo le mie domande ai medici, quando chiedevo: “Dottore, ce la farò?”». Dopo 15 giorni, il risveglio è la voce metallica di Ombretta, la mamma di Mattia, che attraverso il cellulare di un infermiere saluta suo figlio e dice che il peggio è passato. A giugno, Mattia ha fatto l’esame di Maturità all’Itis di Cremona. Di fronte alla commissione ha portato Ungaretti, «un poeta in cui mi identifico — spiega —, perché ha saputo reagire alle disavventure della vita senza perdere mai la speranza».
Interista convinto, dopo le dimissioni ha ricevuto un videomessaggio da Javier Zanetti che lo invitava a San Siro. Oggi Mattia lavora, fa l’elettricista. Qualche settimana fa, ha lanciato un appello ai suoi coetanei: «State attenti. Tornerà il tempo del divertimento, ora dobbiamo aiutarci». Nella sua mente però restano impressi i ricordi di quei giorni di marzo. A distanza di mesi è ancora emozionato, Mattia: «Mi commuovo pensando di aver onorato quella promessa fatta alla mamma: “Non ti lascerò”. Non ne ero certo, quando gliel’ho scritto. Sono qui».