Da Firenze a Londra «Il Big Ben rinasce grazie all’arte dei nostri antenati»
L’azienda italiana sta restaurando l’orologio «Abbiamo creato 300 mila foglie d’oro»
Il nuovo oro del Big Ben è arrivato in volo da Firenze. Trecentomila foglie da 23 carati, altissima qualità, colorazione tipica inglese, quella tendente al giallo. Unica, come da tradizione, da non confondere con la tonalità pallida francese o con quella più rossa della Russia. Lamine preziose, tratte ognuna da un lingotto dopo dieci ore di battitura. Che, a primavera, quando i lavori di restauro del grande orologio della torre di Westminster saranno terminati, doneranno al monumento inglese l’antico splendore. E anche un po’ di genio dei più famosi battiloro fiorentini, la dinastia Manetti, da cinque secoli e quindici generazioni di artigiani e imprenditori.
Sono stati loro ad aggiudicarsi, unici al mondo, la commessa per fornire l’oro giusto per restaurare il monumento britannico da tempo «impacchettato» da una rete fittissima di impalcature.
«Le foglie d’oro sono state utilizzate per le decorazioni dell’orologio che si sviluppa su quattro lati — spiega Niccolò Manetti, proprietario insieme con i due fratelli e con i tre cugini dell’azienda che oggi a sede a Campi Bisenzio – ed è stato un grande onore essere scelti per il restauro della Torre del palazzo del Parlamento inglese. La nostra storia, quella della tradizione delle botteghe artigiane fiorentine, è stata apprezzata anche nel Regno Unito».
Oggi la «Giusto Manetti Battiloro spa» si è trasformata in un’azienda con 170 diro pendenti, quattro sedi all’estero (Spagna, Polonia, Romania e Russia), una quinta di prossima apertura negli Emirati Arabi e con un fatturato di circa 30 milioni di euro l’anno. È una realtà imprenditoriale italiana che in molti analisti hanno descritto come un piccolo miracolo economico. Non solo perché è riuscita a limitare la crisi provocata dalla pandemia (-5% di fatturato) ma ha fatto registrare una previsione di crescita nel 2021 del 10%.
I segreti? «L’aver appreso e tramandato l’arte dei nostri antenati nei secoli dei secoli — spiega Niccolò —, adattandola alle nuove tecnologie ma mantenendo allo stesso tempo gli stessi segreti artigiani. E anche aver continuato una filosofia di lavoe di vita che ci arriva dal Rinascimento. Da noi tutti i lavoratori hanno la stessa importanza, dall’operaio che batte la foglia d’oro al manager, dal venditore all’ingegnere».
Un’altra caratteristica vincente è l’ossessione della qualità. La stessa che tormentava i sogni di Antonio, il capostipite, amatissimo dalla famiglia Medici. E che avrebbe spinto il cugino Matteo a partecipare e vincere la gara per riparare la grande palla dorata dal diametro di otto metri che ancora oggi svetta sulla cupola del Brunelleschi che un fulmine aveva fatto precipitare a terra nel 1602. Lavorò così bene, quello stimato battiloro, da essere assunto dalla prestigiosa Opera di Santa Maria del Fiore con il titolo di orafo, un grande onore e un titolo di prestigio per i tempi.
Il Big Ben non è l’unico capolavoro dove l’oro dei Manetti risplende. Le preziose foglie decorano la reggia di Versailles, le suntuose sale del Cremlino, il Palazzo di Caterina la grande a San Pietroburgo. E ancora fregi e dorature fiorentine trionfano nei palazzi presidenziali di Abu Dhabi, di Cuba e in molti monumenti degli Stati Uniti. E siccome l’oro è anche moda, e persino cucina (c’è un reparto dedicato all’uso alimentare del metallo), è stato realizzato un abito completamente in oro firmato da Dolce & Gabbana ed è stata appena sottoscritta una partnership con la fondazione Gualtiero Marchesi per i 40 anni del risotto con la foglia d’oro, una delle specialità-capolavoro del grande chef.
Adesso si aspettano i primi rintocchi del Big Ben che saranno accompagnati dai luccichii del nuovo vestito italiano. E sembra davvero una favola a lieto fine.