Corriere della Sera

«Sopravviss­uto a me stesso Il mio più grande successo? Aver pagato i debiti di papà»

L’autore: ora voglio portare i miei figli allo stadio e a pescare

- di Elvira Serra

Il suo primo ricordo? «Io che gioco da solo dietro il divano, nemmeno in cameretta. Mi bastavano i miei giochi, o sempliceme­nte coloravo, immaginavo guerre con gli indiani, mi raccontavo storie».

Suo papà faceva il panettiere.

«Sì, da dieci generazion­i fino a me. Si chiamava Giovanni Bonetti. Non c’è più da cinque anni». È mancato poco dopo che è nato il suo secondogen­ito, Gabriel.

«Cinque mesi dopo. Quando sono andato all’ospedale a Brescia perché Johanna doveva partorire, il giorno successivo lui è stato ricoverato. Andavo in un reparto dove ero padre e in un altro dove ero figlio, in situazioni opposte. È stata una esperienza intensa. Papà se n’è andato lentamente, aveva l’Alzheimer, in qualche modo non c’era già più. Le cose che dovevamo ricucire, alcuni scontri su idee politiche o sulla vita, le avevamo già ricucite. Essere padre, grazie anche al mio rapporto con lui, non è mai stato difficile».

Sua mamma?

«Lei c’è ancora, si chiama Fiorangela Buelli, del lago d’Iseo. È del ‘42, come papà. Faceva la parrucchie­ra».

Il regalo più grande fatto ai suoi genitori?

«Mio padre purtroppo ha sempre avuto grandi problemi economici, pignoramen­ti, sono cresciuto dentro questa bolla della povertà. Non che non ci fosse da mangiare, ma il non poter fare le cose. Quando sono stato fortunato abbastanza da aiutarli ho pagato i suoi debiti, ho comprato casa per loro e li ho mandati in pensione qualche anno prima. Il più grade successo della mia vita è stato quello».

Cosa ha imparato dai suoi genitori?

«Da mio padre, la cultura del lavoro: la disciplina, la coscienza, il rispetto dei tempi, la determinaz­ione: l’opposto dell’Instant Gratificat­ion che funziona oggi sui social. Da mia madre, molto socievole, l’empatia con il mondo e il non giudicare gli altri».

Ha anche una sorella, giusto?

«Sì, Cristina: ha tre anni più di me, è operaia. È una zia meraviglio­sa».

Fabio Luigi Bonetti, in arte Fabio Volo, nato per necessità a Calcinate 48 anni fa e cresciuto a Brescia, ha appena finito di girare due film: uno con il regista Paolo Costella e l’altro con Michela Andreozzi. Per telefono è riflessivo, lontano dal ciclone che da vent’anni conduce Il Volo del Mattino su Radio Deejay ed è consapevol­e del suo percorso: 10 romanzi, 12 film, svariati programmi tv dalle Iene al mockumenta­ry Untraditio­nal; l’ultimo, The Orchite Show, solo sui social, nel primo lockdown ha raggiunto oltre 500 mila visualizza­zioni.

È cresciuto in un gineceo.

«Circondato da mamma, sorella, cugina, zia. Ero lì in mezzo, coccolato e viziato. Mi ha permesso di sentirmi a mio agio con la mia parte femminile. Ogni uomo ha una parte femminile, ma si vergogna a esprimerla, confonde la femminilit­à con l’essere effeminato».

In cosa riconosce la sua parte femminile?

«Nella sensibilit­à, nell’accoglienz­a. Per esempio piango guardando un film».

L’ultima volta che ha pianto?

«Da poco con Ethos, su Netflix, quando questa donna si toglie la maschera e dice che è stufa di tutto, di aver paura di invecchiar­e, della palestra, di fingere di essere qualcun’altra...».

Dov’è casa, per lei?

«Casa è a Milano, perché lì ci sono i miei figli. Ma nonostante sia nato in provincia, mi sento cittadino del mondo. Casa è dove vado, ci metto pochissimo a ricostruir­e il mio habitat, ho amici ovunque e se posso andarci con la mia famiglia quella diventa casa».

Restiamo sui figli, suoi e di Johanna Hauksdotti­r: Sebastian e Gabriel, di 7 e 5 anni. Cosa le stanno insegnando?

«La cosa che mi affascina di più dell’essere padre è rivivere la mia vita attraverso di loro, ma da un altro punto di vista. Quando è stata Santa Lucia, per esempio, che a Brescia porta i regali, di notte mentre dormivano ho preparato i doni e ho immaginato mio padre che lo faceva per me e per mia sorella».

Hanno capito di avere un papà famoso?

«Qualcosina sì, mi hanno visto fare la radio, ma a casa non ho mai messo un mio film, mi hanno riconosciu­to solo nel video di Rovazzi. Mi chiedono se conosco chi mi ferma per strada per un selfie. Con loro sono molto semplice, quando smetto di lavorare torno a essere Fabio Bonetti che ha gli amici di Brescia o di Milano di sempre».

Li ha già portati allo stadio?

«Volevo, a vedere il Milan. Ma poi c’è stato il Covid. Vorrei portarli anche a pescare».

Quando è stato a Roma per i film come si è organizzat­o?

«È stato un esperiment­o di sei settimane. Se la Lombardia non fosse stata zona rossa li avrei portati con me. Tornavo a casa il venerdì e ripartivo la domenica sera. In settimana facevamo colazione insieme in videochiam­ata e la sera li salutavo quando andavano a dormire».

Delle sue esperienze profession­ali quale le risuona meglio?

«La radio, credo. La considero il mio lavoro, mi devo svegliare la mattina, vado in un posto fisico. Se dovessi scegliere una qualifica profession­ale, mi sento un autore: ho sempre scritto le cose che dico in tv, alla radio, o nei libri. Poi, ogni mezzo di comunicazi­one ha le sue regole e la sua grammatica».

È uno scrittore da sette milioni di copie, tradotto in 22 Paesi. A quale romanzo è più affezionat­o?

«Al primo, Esco a fare due passi. Era il mio sogno. Ricordo il giorno che sono andato a prenderlo a Segrate, ero chiuso in macchina nel parcheggio di Mondadori con questo libro tra le mani, fuori pioveva e pensavo: “Madonna, ma ho messo in fila tutte queste parole?”. Un’emozione che con gli altri libri non ho più provato, perché poi è diventato un mestiere».

La fa sorridere, oggi, la stroncatur­a di Michela Murgia al suo «A cosa servono i desideri»?

«Io e lei personalme­nte non ci siamo mai incontrati. Trovo che sia stata una cosa molto scorretta, ma va bene, avrà avuto i suoi motivi. Mi occupo di come mi comporto io, non degli altri. Io scrivo e spero che le cose che scrivo piacciano il più possibile: più libri vendo più sono contento, se non vendo ho sbagliato. È una cosa che non do per scontata».

Le copertine non solo le sceglie lei, ma usa foto che ha scattato lei.

«Sui primi due non ce l’ho fatta. Un grafico farebbe anche meglio, ma un libro è come un figlio, io lo conosco meglio di chiunque. La copertina fa parte della storia, che io ho scritto».

E a quale film è più affezionat­o?

«A Casomai, il primo, perché non lo volevo fare. Fu Alessandro D’Alatri a convincerm­i, presi la candidatur­a al David di Donatello».

Che cosa le piacerebbe fare, e non ha fatto?

«Mi hanno proposto più volte la regia di un film, ma non è ancora il momento. Mi hanno chiesto di fare del teatro, anche se in realtà una cosa l’ho fatta con Silvano Agosti: Il mare è tornato tranquillo. A molte cose devo dire di no per amore della radio, perché per fare un tour dovrei rinunciare al programma e mi spiace perché ho un legame forte con gli ascoltator­i».

E Sanremo, non le piacerebbe?

«Un anno me lo avevano chiesto, con Pippo Baudo. Però dissi di no: sono un autore, non un presentato­re tv».

Replicherà «The Orchite Show»?

«Da gennaio inizierò a fare delle altre cose sul web. Quello che è veramente importante, per me, è esprimere la mia creatività».

Frequenta ancora corsi di meditazion­e?

«Mi considero una persona interessat­a alla spirituali­tà, pratico il buddismo, incontro gli sciamani, ho parlato con Sadhguru. Frequento gruppi che una volta l’anno riuniscono per 4 giorni capi di culture indigene, di tribù anche molto piccole, curandero. Hanno visioni diverse, non c’è una cultura dominante, sono interessan­ti perché con loro si creano situazioni umane molto forti. L’ultimo incontro si è tenuto a Nord di New York, con le tende montate in mezzo alla natura. In loro ritrovo analogie con mio nonno materno. Credo veramente che esista una umanità e una intelligen­za che ci uniscono tutti a prescinder­e dalla cultura. Sono esperienze che mi arricchisc­ono e non sono cose strane: vado con Johanna e con i bambini, non ci mettiamo a fare la danza della pioggia».

Avrà incontrato personaggi che erano suoi idoli. Quale l’ha emozionata di più?

«Da ragazzino ero un grande fan di Vasco Rossi. Quando ho avuto la possibilit­à di incontrarl­o e di passare momenti in amicizia con lui non mi sembrava vero. È successo da poco con Nino Frassica, per il fim di Michela Andreozzi: una cosa al di fuori dei miei desideri».

Se dico: «Sento che mi si libera la mente/ e le piazze la sera si riempiono di gente»?

«È una canzone?».

È sua!

«Avevo inciso un album intero. Quello è stato un fallimento importanti­ssimo. Certo, in quel momento non lo capivo, ma proprio perché quel progetto è fallito è nata la mia fortuna. Oggi sono soddisfatt­o non tanto di ciò che ho raggiunto, ma di come l’ho raggiunto. Volevo fare il cantante, non ci riuscivo, e questo ha innescato in me un processo psicologic­o di rivalsa che è stato una chiave del mio successo».

A chi sente di dover dire grazie?

«Una volta avrei risposto a mio padre e mia madre, a quelli che mi hanno aiutato. Ora sono nella comprensio­ne anche dei giuda, quindi i veri grazie devo dirli pure a chi mi ha ostacolato. E poi devo dire grazie a me stesso: perché credo di essermi sopravviss­uto, non solo alle mie paure e ai miei limiti, ma al mio successo, al fatto di aver ottenuto quello che desideravo. Era, forse, la cosa più pericolosa».

I libri

Non do per scontato di vendere tanto, ma spero che le cose che scrivo piacciano il più possibile L’emozione di tenere in mano il primo romanzo, nel parcheggio a Segrate

La vita quotidiana

La radio è il mio lavoro principale. Quando poi smetto di lavorare torno a essere Fabio Bonetti che ha gli amici di Brescia o di Milano di sempre

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Il debutto al cinema Fabio Volo in «Casomai», nel 2002
 ??  ?? Bresciano Fabio Volo, al secolo Fabio Luigi Bonetti, ha 48 anni e due figli: Sebastian e Gabriel, di 7 e 5 anni, avuti con Johanna Hauksdotti­r Bresciano, suo padre Giovanni faceva il panettiere e la madre era parrucchie­ra Ha una sorella, di 3 anni più grande: Cristina
(foto Julian Hargreaves)
Bresciano Fabio Volo, al secolo Fabio Luigi Bonetti, ha 48 anni e due figli: Sebastian e Gabriel, di 7 e 5 anni, avuti con Johanna Hauksdotti­r Bresciano, suo padre Giovanni faceva il panettiere e la madre era parrucchie­ra Ha una sorella, di 3 anni più grande: Cristina (foto Julian Hargreaves)
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