Corriere della Sera

LE ALTERNANZE VIRTUOSE: RIPENSARE LA LEGGE SUL VOTO

I dubbi sul proporzion­ale Sarebbe prudente tornare su quel che fu deciso nell’estate 2019 irrobusten­do il futuro sistema elettorale con qualche iniezione ricostitue­nte di maggiorita­rio

- di Paolo Mieli

In primo luogo perché con il cambio di sistema prospettat­o si getterebbe a mare una provvidenz­iale esperienza iniziata nei primi anni Novanta che ha consentito all’Italia di adeguarsi alla consuetudi­ne di tutti i Paesi di democrazia matura: quella di determinar­e nelle urne gli assetti di governo lasciando agli elettori financo la possibilit­à di «indicare» il futuro presidente del Consiglio. Ciò che ha reso possibile, per oltre quindici anni, la virtuosa alternanza tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi.

In secondo luogo perché — come dimostra quel che è accaduto nell’attuale legislatur­a (di più: dal 2011 in poi, cioè per un decennio) — anche un sistema moderatame­nte maggiorita­rio non impedisce al Parlamento di prendere decisioni fantasiose. In altre parole, un sistema in cui siano state inserite dosi minime di maggiorita­rio costringer­ebbe i partiti a decidere prima del voto le future coalizioni ma non priverebbe il Parlamento e il capo dello Stato di alcune importanti prerogativ­e. Nonché della libertà di scorreria che da tali prerogativ­e è consentita.

In terzo luogo perché — come è reso manifesto dall’attuale ma anche dalla precedente esperienza governativ­a di Giuseppe Conte — un presidente del Consiglio e una coalizione di governo che non abbiano ricevuto alcun mandato dalle schede elettorali mostrano all’atto pratico un’intrinseca debolezza. A prescinder­e dalla qualità del loro operato. Per quanto alto possa essere il loro «gradimento» nei sondaggi d’opinione, allorché si trovano davanti ad un ostacolo politico risulta evidente la loro fragilità. Ciò che rende incerti e contraddit­tori i loro passi.

La pandemia e alcune decisioni ardimentos­e — come quella di decretare a marzo il lockdown (per primi nell’emisfero occidental­e) — possono aver prodotto l’illusione che in tempi come questi sia una fortuna avere un governo

Democrazia matura

che non ha dovuto e forse non dovrà mai fare i conti con gli elettori. Ma poi le esitazioni e gli inciampi governativ­i di ottobre, che hanno riportato l’Italia in vetta alle classifich­e per contagi e per morti, sono state la prova del fatto che una leadership non può fare a meno all’infinito della forza di una legittimaz­ione provenient­e da un corpo elettorale. Anche un’emergenza non può essere gestita più che tanto da una compagine priva di un qualche «voto di fiducia» quantomeno indiretto che provenga «anche» dagli elettori. Stesso discorso vale per i 209 miliardi che dovrebbero giungerci dall’Europa e in particolar­e, come è ovvio, per ciò che concerne l’allocazion­e di questa montagna di soldi. In presenza di una crisi pandemica destinata a durare e in assenza di una legittimaz­ione elettorale, solo un Parlamento pressoché unanime sarebbe in grado di prendere decisioni all’altezza dei tempi. Altrimenti saremo costretti ad assistere ogni giorno di più al fisiologic­o tira e molla di questi giorni.

E allora? Per una stranezza del destino, a fine dicembre sono stati messi definitiva­mente a punto i nuovi collegi elettorali, operazione resasi necessaria dopo il referendum sul taglio dei parlamenta­ri. Adesso teoricamen­te sarebbe possibile andare alle urne. Sconsiglia­bile ma possibile. Il prossimo semestre, però, sarà l’ultimo per un voto con il vecchio sistema parzialmen­te maggiorita­rio. Apparentem­ente questo dovrebbe scoraggiar­e partiti grandi e piccoli dalla tentazione di percorrere sentieri che costringan­o a camminare sospesi sul baratro delle elezioni. Tutti dovrebbero essere spaventati dalla sola ipotesi di una crisi di governo. Ma la prospettiv­a di un’ultima occasione — in primavera, quando la forza del virus sarà presumibil­mente minore — di un’estrema opportunit­à di andare al voto un’ultima volta con un sistema parzialmen­te maggiorita­rio, potrebbe indurre alcune forze politiche, grandi e piccole, ad essere tentate dal correre il rischio di cui sopra. Questo perché l’antico sistema costringe per sua natura ad apparentam­enti altrimenti improponib­ili. Sarebbe più prudente perciò spegnere queste tentazioni di voto tornando su quel che fu deciso nella tarda estate 2019 irrobusten­do il futuro sistema elettorale con qualche iniezione ricostitue­nte di maggiorita­rio. Finché si è in tempo.

Sbagliato rinunciare a determinar­e nelle urne gli assetti di governo e perfino il presidente del Consiglio

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