Corriere della Sera

L’arte di dare voce all’arte

Addio a Barbara Rose, critica e curatrice americana. Svelava i misteri delle opere

- Di Vincenzo Trione

Èstato un anno maledetto (anche) per la critica d’arte. Dopo Germano Celant e Lea Vergine, nella notte di Natale ci ha lasciato Barbara Rose. Difficile perimetrar­ne ora la plurale e vitalistic­a azione intellettu­ale (nel 1966 e nel 1969 fu insignita dell’Art Criticism Award dal College Art Associatio­n of America). In un’epoca non ancora dominata dagli indipenden­t curator, è stata una convinta sostenitri­ce del nesso tra storia dell’arte e critica d’arte. Impegnata a saldare indagine filologica, militanza e riflession­e teorica, ha inteso la storia dell’arte, per riprendere una fine osservazio­ne di Francesco Arcangeli, «come attività dinamica e discrimina­nte, e fatalmente coincident­e con la critica d’arte».

Nata a Washington nel 1936, a lungo assistente di Leo Castelli, formatasi alla Columbia University di New York, allieva di grandi studiosi come Meyer Schapiro e Rudolf Wittkower, Rose aveva una profonda conoscenza della scultura romanica, dell’arte medievale e del Barocco. Sorretta da questa cultura, si era accostata alle avanguardi­e, senza mai aderire alla fantasmago­ria del presente, pensando l’avventura ermeneutic­a come un gesto «politico», non come una cronaca imparziale e algida.

Questa inclinazio­ne non da chierico acquiescen­te ma da interprete responsabi­le emerge con forza dalle scelte che Rose aveva fatto come senior curator del Museo dell’University of California e del Museum of Fine Arts di Houston. Ma rivelatori sono soprattutt­o i suoi studi pionierist­ici sull’arte statuniten­se del secondo dopoguerra (pubblicati su riviste di cui è stata editor e corrispond­ente, come «Art forum», «Art Internatio­nal», «Art in America», «New York Magazine», «Interview», «Vogue America»). In particolar­e, dopo essersi interrogat­a sulle «due vie» dell’arte del N ove cento(Duchampe Malevich), Rose ha decifratol­e traiettori­e dei neo espression­ismi ed eiconc et tua lis mi. Dunque, iduep oli opposti dell’arte d’Oltreocean­o: il volto dionisiaco e quello apollineo, il destino e il progetto (per riprendere due figure care a Giulio Carlo Argan).

Responsabi­le della diffusione del termine «Neo-Dada» e creatrice del neologismo «ABC Art», Rose ha raccontato Jackson Pollock, Georgia O’Keeffee, Lee Krasner, Robert Rauschenbe­rg, Jasper Johns, Andy Warhol, George Segal eCyTwombly­e, insieme, ha seguito Donald Judd, Dan Flavin, Robert Morris, Ad Reinhardt, Ellsworth Kelly, Carl Andre.

E, tuttavia, Rose non si è limitata a documentar­e l’arte dell’American dream. Sempre attenta ad attribuire una notevole centralità all’idea di «lunga durata», ha iscritto quelle profezie visive all’interno di una cartografi­a più ampia e articolata. In tal senso, illuminant­i: il suo libro più fortunato, L’arte americana nel Novecento (1967); e due sue antologie di saggi, Autocritiq­ue (1989) e Paradiso americano (edito in Italia da Scheiwille­r nel 2008). Approdo di questa filosofia è la mostra Monocromos, curata nel 2004 al Reina Sofía di Madrid, quasi un testamento: un viaggio verso il grado zero della pittura; un percorso mistico attraverso le «iconografi­e senza icone» dipinte nel Novecento, come una via Crucis suddivisa in stazioni dedicate a specifici colori (dall’oro al bianco).

All’origine di queste scritture critiche non ci sono mai stati calcoli né strategie: solo generosità, passione. Rose aveva una precisa ambizione: dare voce agli artisti che non sempre riescono a pronunciar­e le intenzioni sottese alle proprie opere, cercando di svelare al pubblico i misteri sottesi a costruzion­i pittoriche e materiche spesso ermetiche. Perciò, dietro le pagine del critico statuniten­se, in filigrana, si nascondono i suoi incontri, i suoi dialoghi, i suoi amori. Frequentav­a gli artisti nei loro atelier. Li spiava mentre dipingevan­o. Li ascoltava. Li difendeva. Li considerav­a creature superiori e fragili.

A lungo ha frequentat­o Rauschenbe­rg, Twombly, Judd, Morris, Reinhardt, Kelly, Andre: per lei, quelle «leggende» erano innanzitut­to amici, compagni di strada. Nel 1961 aveva sposato Frank Stella. Warhol l’aveva filmata in 13 Most Beautiful Women. Un giorno mi raccontò di aver regalato a Warhol un paio di scarpe e a Johns uno dei suoi bersagli. Proprio con Johns ebbe anche una relazione segreta («Ma Jasper non lo dirà mai», ripeteva).

Non di rado Rose ha anteposto gli aspetti umani al giudizio critico, occupandos­i anche di artisti modesti. È stata, questa, un po’ la sua debolezza. Ma lei era così: facile agli innamorame­nti intellettu­ali, pronta a sostenere i più giovani, non temeva di sbagliare.

Seduttiva, molto bella, animata da un involontar­io cupio dissolvi, aveva un temperamen­to nomade. Poliglotta, era sempre in viaggio: si sentiva a casa propria ovunque. Pur restando intimament­e americana, trascorrev­a diversi mesi dell’anno in Europa. Parigi, Madrid. Adorava il nostro Paese. Aveva una piccola tenuta vicino Todi. Conosceva bene gli artisti italiani (stimava soprattutt­o Nino Longobardi e Roberto Pietrosant­i). Nominata tra i vicedirett­ori dell’Encicloped­ia Treccani dell’Arte contempora­nea, collaborav­a con il «Corriere della Sera» e, dal 2011, con il suo supplement­o culturale, «la Lettura».

«Ho voglia di fare qualche nuova proposta, di ricomincia­re a scrivere per il “Corriere”», aveva confessato Barbara qualche giorno fa.

Aveva sposato Frank Stella, era stata filmata da Andy Warhol. Pronta a sostenere i più giovani, non temeva di sbagliare

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Un ritratto di Barbara Rose: la fotografia è stata scattata a Napoli, nel 2008, alla mostra personale di Roberto Pietrosant­i nella galleria di Dina Carola. Barbara Rose amava l’Italia: aveva acquistato una piccola tenuta vicino a Todi. Esperta di artisti italiani, era stata nominata tra i vicedirett­ori dell’Encicloped­ia Treccani dell’Arte contempora­nea. Scriveva per il «Corriere della Sera» e, dal 2011, per il suo supplement­o culturale, «la Lettura»
Sorriso Un ritratto di Barbara Rose: la fotografia è stata scattata a Napoli, nel 2008, alla mostra personale di Roberto Pietrosant­i nella galleria di Dina Carola. Barbara Rose amava l’Italia: aveva acquistato una piccola tenuta vicino a Todi. Esperta di artisti italiani, era stata nominata tra i vicedirett­ori dell’Encicloped­ia Treccani dell’Arte contempora­nea. Scriveva per il «Corriere della Sera» e, dal 2011, per il suo supplement­o culturale, «la Lettura»

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