«Cornell ucciso da troppi farmaci»
La vedova del leader dei Soundgarden suicida nel 2017 rilancia le accuse. Un disco postumo
Era il 18 maggio del 2017 quando una delle più belle voci del rock si tolse la vita: Chris Cornell, frontman dei Soundgarden e degli Audioslave, si impiccò nel bagno della sua camera d’albergo a Detroit, lasciando in lutto il mondo della musica. Colonna portante della scena grunge di Seattle, ma anche star mondiale con hit come «Black Hole Sun», l’anno prima di morire aveva lavorato a un disco di cover che esce ora per volere della famiglia: «Aveva scelto le canzoni, le aveva registrate e masterizzate. Era emozionato per questo lavoro», spiega la moglie Vicky, presentando «No One Sings Like You Anymore», album postumo uscito in digitale e in arrivo su supporto fisico il 19 marzo.
Al suo interno, la voce graffiante e malinconica di Cornell fa suoi 10 brani di altri, da «Watching the Wheels» di John Lennon a «Nothing Compares 2 U» scritta da Prince fino a «Patience» dei Guns N’ Roses. «Alcune canzoni le aveva scelte perché vi era legato, altre perché amava il testo, altre ancora perché gli autori gli erano stati di ispirazione — continua Vicky —. Il disco è opera sua dall’inizio, a parte l’art work, purtroppo. Volevo che i fan ce l’avessero e quale momento migliore se non un anno terribile come questo: la musica ci cura e la voce di Chris dà conforto a tutti noi». A sentire cantare Cornell, in effetti, si ha la sensazione che qualsiasi cover potesse venirgli bene: «Se lo dice la moglie è ovvio, ma la voce di quest’uomo è capace di suscitare mille emozioni diverse, era magia pura».
Nella voce di Vicky Cornell, invece, anche se filtrata dal telefono e da un oceano, si sente un dolore difficile da elaborare, attutito in parte dall’affetto del pubblico verso il marito: «Ogni giorno mi rendo conto di quanto Chris sia amato, anche dalle nuove generazioni. Era un’icona e la sua eredità va avanti. Ma per me è una mancanza quotidiana. Era il mio migliore amico ed è l’unico a cui vorrei raccontare certe cose. Mi manca guardare i film con lui o fare i biscotti: questi sono i miei ricordi. Si illuminava quando vedeva i nostri due figli e quel che ci fa andare avanti è proprio l’aver ricevuto così tanto amore».La famiglia Cornell era anche molto legata all’Italia e trascorreva lunghi periodi a Roma: «È stato il nostro primo vero viaggio con i bambini e ci siamo sentiti subito a casa. Ad un certo punto Chris ha detto “dovremmo prenderci un appartamento qui” e in men che non si dica l’abbiamo fatto, ritrovandoci all’improvviso a passare tre o quattro mesi l’anno a Roma. Chris accompagnava i bambini alla fermata dello scuolabus e adoravamo quei momenti».
Ricordi felici, difficili da far quadrare con un suicidio, nonostante negli anni Chris avesse parlato più volte della sua lotta con le dipendenze e con la depressione: «C’è un gran fraintendimento e voglio che si sappia che la notte in cui è morto Chris non era depresso — sottolinea Vicky —. Era in un delirio, non in possesso di tutte le sue facoltà, perché gli erano state prescritte troppe medicine, come il Lorazepam, che non avrebbe dovuto prendere. La cosa più triste è che la sua morte era evitabile».