Corriere della Sera

Il piano di Uva per l’Uefa «Lotta al razzismo e parità di genere Il calcio sia d’esempio»

- Paolo Tomaselli

Da gennaio il nuovo dipartimen­to «calcio e responsabi­lità sociale» della Uefa avrà un direttore italiano: Michele Uva, per quattro anni vicepresid­ente del governo del calcio europeo si cala adesso in una veste meno politica e più managerial­e, là dove batte forte il cuore del pallone. Un cuore e una passione da preservare e da rilanciare.

Il presidente della Uefa Ceferin e quello del parlamento europeo Sassoli, si sono incontrati a inizio dicembre per «lavorare assieme su inclusione, solidariet­à e lotta al razzismo nel calcio». C’è molto da fare?

«In quel colloquio c’è un bel riassunto di ciò che ci aspetta. Dalla sostenibil­ità ambientale degli eventi e degli stadi al razzismo, dal sessismo ai progetti sui rifugiati, fino alla parità di genere: dobbiamo coniugare il calcio e la società civile e fare in modo che il nostro mondo sia di esempio per i milioni di fans a cui si rivolge. Ci sono poi i 17 obiettivi di Sviluppo sostenibil­e

delle Nazioni Unite che potranno essere una traccia importante per la crescita sociale del calcio». Una delle priorità è la lotta al razzismo?

«Lo è per la società civile: il calcio amplifica le patologie sociali, ma lo sport resta il terzo passaggio di una filiera che inizia con la famiglia e prosegue con la scuola. Lo sforzo, per capire che è assurdo parlare di colore della pelle, di religione o di provenienz­a geografica, deve essere corale: il calcio sta facendo e farà la sua parte. Ma non può sostituirs­i all’educazione di base».

La battaglia per i pasti ai bambini poveri di Rashford.

L’aiuto ai lavoratori stagionali migranti di Keita Balde. L’impegno ambientali­sta di Bellerin o di Thorsby, l’adesione di tanti calciatori a Black lives matter: farete tesoro di questa nuova sensibilit­à ai grandi temi?

«Assolutame­nte sì, questa nuova generazion­e di giocatori ha una sensibilit­à altissima verso i temi di natura sociale. Sono grandissim­i punti di riferiment­o, non solo per i giovani, ma per l’intera società civile. Il loro aiuto è determinan­te nella promozione dei valori e nella sensibiliz­zazione. Andremo a cercare altre iniziative, anche tra gli allenatori, per avere testimonia­l in grado di veicolari i nostri messaggi in ogni angolo d’Europa: ad esempio Allegri assieme ad altri suoi colleghi partecipa a una iniziativa “Insieme contro il cancro” sulla corretta alimentazi­one che è importanti­ssima».

Come italiano, espression­e di un calcio che per certi versi sembra indietro su tanti temi, sente di essere un

osservato speciale?

«Non penso, ma di certo sento una responsabi­lità particolar­e, come cittadino, per filosofia personale».

Stadi vuoti, attività di base bloccata: c’è già una percezione di come il virus ha cambiato il calcio?

«Credo che gli effetti li vedremo nel prossimo biennio, ma il calcio e lo sport avranno sempre un ruolo importanti­ssimo: non penso diminuiran­no tesserati e praticanti. Né l’amore per il pallone. Anzi, sono convinto che quando la vita sociale ed economica torneranno normali, avremo un entusiasmo ancora maggiore, con più voglia di sport, praticato

o fruito da spettatori».

La dispersion­e dei giovani, attratti dall’adrenalina dei videogioch­i e delle serie tv, sembrava già in atto prima del Covid. Che ne pensa?

«Bisogna stare attenti al fenomeno, non c’è dubbio. La contrazion­e dei momenti emozionali può essere legata a un momento passeggero e lo sport in questo senso resta unico, perché si svolge in diretta e non segue un copione: è un evento irripetibi­le».

Stadi «verdi», adatti alle famiglie, lotta al razzismo e alla violenza. La situazione italiana è preoccupan­te? «Su alcuni temi sono stati fatti passi avanti, ad esempio quello della violenza attorno al calcio e i percorsi educativi con i giovani tramite i Centri federali territoria­li. I casi di razzismo sono in un trend di decrescita da sei anni, ma la strada è lunga e mi fa sorridere che si parli ancora di impianti da modernizza­re, perché è un concetto vecchio ormai di quindici anni. Lo stadio è il fulcro dell’attività sociale di una città: se è brutto, mal tenuto e poco accoglient­e, è più facile che sia anche ‘cattivo’. Senza investimen­ti nelle infrastrut­ture, nei giovani e nei temi sociali non c’è futuro».

Da gennaio

Il manager italiano guiderà il dipartimen­to calcio e responsabi­lità sociale dell’Uefa

La nuova generazion­e di giocatori ha una sensibilit­à altissima verso i temi sociali. Sono un riferiment­o per l’intera società civile

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Michele Uva, 56 anni, materano
(Ansa) Esperto Michele Uva, 56 anni, materano

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