Corriere della Sera

Trading, social, derivati L’ascesa (e i rischi) di eToro

LA PIATTAFORM­A DA 16 MILIONI DI UTENTI

- di Federico Fubini

Un’epidemia parallela sta circolando in questi mesi fra i più giovani. Non sempre fa danni, ma ne fa spesso. Il governo non può proibire alle vittime di esporsi ma il lockdown per essa si è rivelato un accelerato­re, non un argine. E come per Covid-19 anche il secondo virus nasce da un salto di specie, ma dai social media al trading.

Il coronaviru­s ha chiuso milioni di giovani nelle loro stanze e molti di loro, anche in Italia, reagiscono vivendo la propria vita attraverso gli smartphone. Nel frattempo, nel sistema finanziari­o è accaduto di tutto. Al deflagrare della pandemia il Nasdaq di New York, il listino delle imprese tecnologic­he, è crollato del 30% in poco più di trenta giorni. Poi nel resto dell’anno è lievitato dell’86% (anche) perché le banche centrali di Washington, Francofort­e, Pechino e Tokio hanno reagito immettendo nel sistema ottomila miliardi di dollari di nuova moneta. Così si sono salvati centinaia di milioni di posti. Ma l’effetto collateral­e è una febbre finanziari­a che non tutti hanno gli anticorpi per gestire, specie quando penetra milioni di smartphone. Non tutti capiscono con cosa sono entrati in contatto. Non tutti misurano il prezzo finanziari­o e psicologic­o che stanno pagando.

La più grande app di brokeraggi­o al mondo si chiama eToro e nel 2020 è passata da undici a sedici milioni di clienti, fra i quali un milione in Italia (per questi ultimi, l’età media è di 36 anni). Fra gennaio e settembre su eToro si sono scambiati titoli per oltre mille miliardi di dollari. Dall’inizio della pandemia gli utilizzato­ri hanno moltiplica­to i depositi sulla piattaform­a di oltre quattro volte nel mondo e di tre in Italia. L’apertura di un conto serve per comprare o puntare al ribasso su azioni, derivati, valute, criptovalu­te come oppure su materie prime.

Yoni Assia, il trentanove­nne di Tel Aviv che ha fondato eToro nel 2007, vede in questo fenomeno la democratiz­zazione di un sistema dominato da una élite chiusa, avida e opaca. «C’è un cambio di paradigma, i Millennial­s hanno un approccio globale — dice al Corriere —. Noi abbiamo abbattuto le barriere all’entrata. C’è chi pensa che i soldi debbano essere gestiti solo da profession­isti, senza che i risparmiat­ori capiscano dove sono investiti. Ma i più giovani chiedono trasparenz­a: vogliamo prendere noi le decisioni sul nostro denaro».

Sull’abbattimen­to delle barriere non c’è dubbio. Chi scrive si è aperto la strada a investimen­ti fra i più complessi, costosi e pericolosi — criptovalu­te, derivati, operazioni con leva di debito pari a varie volte il capitale — in cinque minuti. Basta rispondere su un formulario di eToro a quattro semplici domande di finanza, dichiarare redditi e risparmi estremamen­te limitatati e inserire un codice fiscale, una residenza e una data di nascita. Senza verifiche. Nessuna domanda sulla provenienz­a dei fondi. Nessuna richiesta di mostrare un documento d’identità o altre misure antiricicl­aggio. Come le piattaform­e concorrent­i, eToro è regolata dall’autorità finanziari­a di Cipro — la più piccola e fragile d’Europa — e ciò le basta per operare nell’intera area euro.

Se però eToro ha conquistat­o più spazio di altre app simili — Robinhood negli Stati Uniti, Plus500 in Europa — è per anche altre caratteris­tiche. Il suo segreto è nella fusione fra social media e piattaform­a di scambi: eToro è entrambe le cose, con i profili, commenti, condivisio­ni, notifiche, vibrazioni e effetti di luce mutuati dai giochi online che i social media hanno perfeziona­to per tenere agganciati gli utenti, renderli psicologic­amente dipendenti dalla app e attrarli di nuovo quando si staccano. Da Instagram, eToro mutua in particolar­e il potere degli influencer. Come Chiara Ferragni può far comprare una borsa a milioni di follower quando la mostra, così gli utilizzato­ri di eToro possono scegliere sul social network della piattaform­a altri investitor­i in qualunque parte del mondo e copiarli con un clic. Da quel momento, la piattaform­a farà sì che il follower riproduca automatica­mente ogni operazione dell’influencer (e il primo pagherà al secondo un 2% annuo di “costi di gestione” sul capitale investito).

In questi mesi eToro sta riempiendo la rete (anche in Italia) di una pubblicità che promette trading senza commission­i, a costo zero. In realtà lo sconto riguarda solo le operazioni in azioni e serve per attrarre clientela sulla piattaform­a. Costano invece più che nella media del settore, secondo la rivista FxEmpire, i prelievi su tutte le operazioni complesse e rischiose: investimen­ti a leva, derivati degni del gioco d’azzardo come i “contract for difference” (sui quali il 71% dei clienti ha perso anche in un anno positivo come il 2020) o le criptovalu­te. Fra l’altro in molti casi questi strumenti vengono comprati sempliceme­nte perché l’investitor­e sta copiando qualcuno o perché il sistema porta in quella direzione. Per esempio, l’offerta del titolo Eni conduce all’opzione di acquisto di un derivato e non dell’azione ordinaria.

«Se le persone riescono a educare se stesse, potranno fare le scelte di investimen­to giuste» dice Yoni Assia, il leader di eToro, che nei primi nove mesi del 2020 ha registrato oltre 400 milioni di dollari utile netto. «Noi vediamo il social network come uno strumento educativo». In effetti Italia le ricerche su Google finalizzat­e al trading sono quadruplic­ate a 3,6 milioni durante il primo lockdown, secondo ByTek Marketing. Le domande più frequenti? «Quali azioni comprare», «cosa sapere per investire» e «cosa sono i futures sul petrolio».

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Yoni Assia ha fondato eToro nel 2007

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