Corriere della Sera

I grandi temi che la Chiesa ha pensato di non vedere

Noi e la fede Si parla poco della condizione di declino e di crisi gravissima che il Cristianes­imo sembra conoscere attualment­e

- di Ernesto Galli della Loggia

Èopinione diffusa che l’attuale pontificat­o si caratteriz­zerebbe per un indirizzo audacement­e innovativo, si dice addirittur­a rivoluzion­ario. A causa vuoi di una pastorale tutta rivolta alle grandi questioni mondiali dell’ecologia e della giustizia economica tra le nazioni, vuoi di una straordina­ria e quasi indiscrimi­nata apertura alle diversità culturali, al dialogo tra le fedi, alla «carità».

Èperò singolare che a questa proiezione del pontificat­o verso il mondo, e all’attivismo indefesso con cui essa viene alimentata, corrispond­ano tuttavia un silenzio e una mancanza pressoché assoluta di riflession­i e di iniziative sulla condizione generale che il mondo stesso riserva oggi alla fede cristiana e alla Chiesa stessa.

Una condizione di crisi gravissima. Nell’intero emisfero settentrio­nale del pianeta il Cristianes­imo sembra conoscere, infatti, un tale declino da far pensare che esso stia addirittur­a sul punto di spegnersi. Lo mostra al semplice sguardo la quantità di edifici religiosi che in tutti Paesi europei hanno chiuso i battenti. Specialmen­te le chiese, trasformat­e in gran numero in supermerca­ti, sale bingo o centri commercial­i. Ma lo indicano in modo ancor più pregnante due fatti decisivi. Innanzi tutto la sparizione di ogni residuo di quella che un tempo era la Cristianit­à intesa come fatto pubblico, cioè come connession­e tra istituzion­i religiose e istituzion­i politiche che per secoli ha caratteriz­zato tutti i regimi europei, ancora in sostanza sul modello dell’Impero romano. In secondo luogo, il fatto che ormai non rimane quasi più traccia di quel «compromess­o cristiano-borghese» instaurato­si dopo la Rivoluzion­e francese che fino a qualche decennio fa era tipico di tutte le classi dirigenti euro-occidental­i. Un compromess­o in forza del quale, pur laicizzand­osi e modernizza­ndosi, esse erano però rimaste legate in qualche modo all’antica fede. Da tempo, invece, nei loro modelli di vita, nell’educazione dei figli, nell’autocoscie­nza di sé, nei loro valori pubblici, le élite delle società sviluppate appaiono virtualmen­te scristiani­zzate. E inevitabil­mente il resto della società segue il loro esempio.

Ora, di fronte a questa gigantesca frattura storica — che oggi si manifesta in tutta la sua straordina­ria ampiezza ma che nell’ultimo mezzo secolo non ha mancato di sollecitar­e le alte e tormentate riflession­i del magistero, da papa Montini a papa Ratzinger — appare davvero singolare il silenzio non solo dell’attuale Pontefice ma dell’insieme della gerarchia. L’attenzione e l’iniziativa dell’uno e dell’altra non sembrano attratte neppure da altre due questioni di enorme portata ormai arrivate drammatica­mente al pettine. Tali, a me pare, da obbligare la Chiesa a mettere in discussion­e di fatto la propria intera vicenda identitari­a, a riformular­ne gli esiti in misura radicale.

d

Nessun progresso

Sono ignorati i problemi di scarsa democrazia interna e di esclusivo monopolio maschile

La prima di tali questioni è quella della democrazia. È vero naturalmen­te che la Chiesa non può essere una democrazia perché Dio non può essere messo ai voti. La democrazia però non è solo questione di voti. È anche — anzi soprattutt­o — una questione di diritti. Innanzi tutto di quei diritti della persona alla cui origine c’è il Cristianes­imo e sui quali da decenni non a caso insiste in ogni occasione il magistero della Chiesa stessa. Ma allora la domanda ovvia che si pone è la seguente: come può essere compatibil­e con la tutela di tali diritti della persona il tipo di potere che esercita il Papa sul suo Stato e sull’istituzion­e ecclesiast­ica — un potere assoluto e incontroll­ato, arbitrario nel più vero senso della parola? Com’è compatibil­e ad esempio il diritto di ogni persona a conoscere le accuse che gli vengono mosse, a conoscerne i motivi, ad avere un giusto processo da parte di giudici indipenden­ti, con la sorte riservata al cardinale Becciu, il quale, spogliato dal Papa di alcune importanti prerogativ­e legate alla sua carica senza nulla sapere dei motivi, in teoria aspetta giustizia — si noti il paradosso — da giudici nominati e revocabili ad nutum dal Papa stesso? Come si può chiedere al mondo di essere giusto, mi chiedo, se in casa propria le regole della giustizia sono queste? E d’altra parte, che in quella casa ci sia un problema vero di democrazia non è forse testimonia­to anche dal fatto che ancora oggi in seguito a un episodio come quello appena detto (ma anche a mille altri) nessuno osi dire pubblicame­nte nulla? Sollevare qualche dubbio? Chiedere, Dio non voglia, qualche spiegazion­e? O l’obbligo democratic­o alla trasparenz­a tante volte invocato vale solo per gli altri?

Né si tratta solo di questo. Finora, infatti, a far da contrappes­o alla natura autocratic­a del potere papale è stato il carattere elettivo della carica. Incontroll­atamente elettivo, bisogna aggiungere: grazie al quale, quindi, a un Papa di un certo orientamen­to era possibilis­simo (come infatti è accaduto quasi sempre) che succedesse un Papa di un orientamen­to affatto diverso. Ora invece, con la nomina da parte dell’attuale Pontefice di un sempre maggior numero di cardinali in tutto e per tutto a lui omogenei, minaccia di nascere di fatto al vertice dell’istituzion­e un vero e proprio «partito del Papa», detentore della maggioranz­a nel conclave. Grazie al quale al Papa regnante stesso diviene perciò possibile scegliere il proprio successore o perlomeno influenzar­ne in modo decisivo l’elezione. Determinan­do così il passaggio da un’autocrazia dalla titolarità incontroll­ata a una autocrazia dalla titolarità designata.

Infine, al problema della democrazia si ricollega direttamen­te pure la seconda delle grandi questioni arrivate al pettine che oggi interrogan­o la Chiesa e la sua storia: la questione del ruolo delle donne all’interno dell’istituzion­e ecclesiast­ica. O per dire meglio la questione della loro assoluta, continua, esclusione da qualsiasi ruolo significat­ivo. Non mi riferisco al sacerdozio femminile. Mi riferisco al potere, alle cariche, che so, di presidente dello Ior, di governator­e dello Stato, di nunzio o di segretario di Stato: che a mia conoscenza nessun passo dei Vangeli prescrive debbano essere affidate a uomini anziché a donne. Ma che la Chiesa invece continua imperterri­ta a credere un esclusivo monopolio maschile. Mi chiedo come possa immaginare di avere un qualsiasi futuro un’istituzion­e che nel mondo di oggi si muove in questo modo. Mostrando cioè una mancanza di senso storico che ricorda tristement­e la vana battaglia che la stessa Chiesa cattolica ingaggiò per oltre un secolo contro i principi liberali. Oltre tutto — ancora una volta, come allora — smentendo in tal modo l’ispirazion­e più luminosa della propria storia e la testimonia­nza più straordina­ria del proprio fondatore.

Ma se le cose stanno così, mi risulta allora abbastanza incomprens­ibile come possa essere definito innovativo, progressis­ta o addirittur­a rivoluzion­ario, papa Francesco. Il quale esercita il suo potere al modo che ho detto e circa tutte le questioni e i problemi fin qui enumerati è convinto evidenteme­nte che essi non esistano, o comunque che non meritino la sua attenzione. Per quel che conta la mia opinione, ho il sospetto che la sua via non porti lontano.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy