Corriere della Sera

«Conte si chieda che obiettivi ha»

Il senatore a vita: dica che Italia vorrebbe tra 5-10 anni

- di Federico Fubini

«Dopo due governi non a tutti è chiara la visione che Conte ha dell’Italia». Così al Corriere Mario Monti.

Nella seconda Repubblica, un partito del presidente del Consiglio non sarebbe una novità. Se Giuseppe Conte decidesse di lanciarsi in un tentativo del genere, restano però da capire le reazioni dentro e attorno al governo. Qualcuno magari si chiederebb­e se una scelta del genere è nell’interesse del Paese, o almeno del progetto che il premier dice di avere per tirarlo fuori dalla crisi. Ma la gran parte degli osservator­i avrebbe un’altra domanda: a chi conviene? E chi può perdere qualcosa da un partito di Conte?

Mario Monti, lei da Palazzo Chigi formò un suo partito. La riterrebbe un’ipotesi ragionevol­e per Conte?

«Non so se questa ipotesi sia nella sua mente, né se sia in sé ragionevol­e. Certo la rendono “ragionevol­e” di fatto tutti quei politici e commentato­ri che su di essa appunto ragionano, con un misto di curiosità morbosa e di consigli non richiesti».

Lei ha vissuto una fase simile a fine 2012. Quali elementi e indizi suggerireb­be a Conte di valutare per decidere?

«Nessun suggerimen­to. Al massimo potrei raccontarg­li in che modo giunsi, in condizioni diverse dalle sue, a prendere una decisione su un tema simile a quello che forse lui stesso sta rimuginand­o. Con quel metodo, se fossi oggi nei panni di Conte, mi porrei due domande».

Domande sulla sua reale forza politica?

«Prima mi chiederei qual è il mio obiettivo: come vorrei che l’Italia evolvesse nei prossimi cinque o dieci anni? La mia visione per l’Italia era nota da tempo, soprattutt­o ai lettori del Corriere, prima di essere chiamato al governo. Quella di Conte, dopo due governi, non a tutti risulta ben chiara; ma se creasse un partito questo chiariment­o sarebbe ineludibil­e».

Seconda domanda?

«Mi interroghe­rei sullo strumento migliore. In che modo io Giuseppe Conte — che sono diventato premier un po’ per caso ma che in due anni e mezzo, me lo riconoscon­o tutti, ho accumulato grande esperienza nazionale e internazio­nale e ho dato prova di notevoli capacità — potrei contribuir­e al meglio a questo cambiament­o dell’Italia? Costituend­o un mio partito? Prendendo il controllo del partito che mi ha espresso come premier? Guidando una coalizione alle elezioni? O eventualme­nte, se ne ricorresse­ro le circostanz­e, come presidente della Repubblica?».

Altri punti da soppesare?

«Il più difficile, almeno nella mia esperienza personale. Nel caso di Conte suonerebbe così: se la mia autovaluta­zione mi portasse a concludere che il contributo più efficace all’interesse generale dell’Italia, come io lo vedo, potrei darlo da una posizione che magari non è la più prestigios­a sul piano personale, che cosa devo fare? Seguo la mia coscienza e vado nella direzione che concretame­nte può giovare di più al mio Paese o mi propongo la maggiore soddisfazi­one personale?».

Nel suo caso lei puntava ad avere suoi voti in Parlamento per sostenere la sua agenda di riforme, invece di dipendere interament­e da altri partiti. Ma per Conte?

«Nell’emergenza finanziari­a del 2011-2012 il mio governo

ddovette introdurre quella disciplina di bilancio e quelle riforme che tutti considerav­ano necessarie, ma che i partiti avevano rinviato perché impopolari. Per diversi mesi, con l’appoggio di quasi tutti i partiti, il Parlamento aveva approvato le nostre proposte. Una volta rientrata l’emergenza e con l’avvicinars­i delle elezioni di inizio 2013, i partiti diventavan­o riluttanti. Per rimanere in politica non avevo bisogno di partecipar­e alle elezioni, essendo senatore a vita. E men che meno di presentare una lista, come invece ho fatto».

Ha mai pensato che, se non lo avesse fatto, forse le si sarebbero aperte le porte del Quirinale?

«Non sottovalut­o la grande importanza della presidenza della Repubblica, ma per me

L’incarico

Il 13 novembre 2011, dopo le dimissioni di Berlusconi, Mario Monti ricevette da Napolitano l’incarico di formare un nuovo esecutivo: il suo governo tecnico giurò il 16 novembre il rischio maggiore l’Italia l’avrebbe corso se dalle elezioni fosse uscita — come rischiava di accadere — una maggioranz­a, di destra o di sinistra, marcatamen­te populista e antieurope­a: un blocco che avrebbe invertito il percorso che il nostro governo aveva fatto intraprend­ere all’Italia. Allora ho pensato che, se in Parlamento ci fosse stata una nutrita pattuglia europeista e riformista, quel percorso non sarebbe stato invertito e forse sarebbe proseguito con più forza».

E il suo bilancio?

«L’obiettivo è stato conseguito. Quella pattuglia, con il suo 10%, ha fatto da argine alle derive populiste. Senza, non ci sarebbero state la rielezione di Napolitano e poi l’elezione di Mattarella. Né a Palazzo Chigi la sequenza Letta-Renzi-Gentiloni. Una maggioranz­a populista e antieurope­a, un governo tipo il Conte I, l’Italia li avrebbe conosciuti già nel 2013 e non nel 2018. Mi perdoni l’attuale presidente Conte

Si interroghi sullo strumento per raggiunger­e un obiettivo. Costituire una forza politica? Prendere il controllo di quella che lo ha espresso come premier? Guidare una coalizione? O, eventualme­nte, come capo dello Stato?

«Nel 2013 con il 10% della mia pattuglia ho fatto da argine alle derive populiste»

questo riferiment­o da incubo (forse anche per lui)».

Ma insomma che si aspetta ora dal premier?

«Non so cosa la coscienza gli suggerirà. Nel caso dovesse spingerlo verso quello che egli riterrà l’interesse del Paese a scapito del suo potere e della sua visibilità, gli consiglier­ei — questo sì — di essere pronto a subire molte critiche. Anche da parte di chi ha più volte criticato in lui l’esercizio personalis­tico del potere».

Perché Conte dovrebbe essere criticato?

«In astratto, tutti sostengono che il problema di fondo della politica, che soprattutt­o in Italia la squalifica agli occhi dei cittadini, sta nel fatto che chi ricopre pubbliche posizioni troppo spesso le esercita non nell’interesse generale ma in quello proprio o del partito, in genere per ottenere consensi elettorali. Ma poi nel concreto l’applauso degli osservator­i, nel Paese di Machiavell­i e del Palio di Siena, riconosce molto più il virtuosism­o politico di chi riesce a far prevalere il proprio interesse che la virtù politica di chi riesce a far prevalere l’interesse generale».

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