Corriere della Sera

Le faglie si sono mosse nei Balcani e in Veneto Nessuna prova di fenomeni collegati

L’esperto: «Aree sismiche entrambe ma distanti»

- di Giovanni Caprara

Apoche ore di distanza Zagabria e Verona sono diventate gli epicentri di due terremoti segnando i territori in modo diverso. «L’area della capitale croata è nota per un rischio sismico elevato — spiega Alessandro Amato, direttore di ricerca all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia — e il fenomeno che ha raggiunto i 6,4 gradi di magnitudo a 40 chilometri dalla città conferma le sue infelici caratteris­tiche. Il terremoto battezzato di tipo orizzontal­e è frutto dello scorriment­o di due piani geologici uno sopra l’altro. Il suo ipocentro a dieci chilometri di profondità dimostra quanto sia superficia­le, generando faglie verticali che si propagano verso l’alto come era accaduto a Norcia».

Se alla base del sisma c’è sempre la spinta verso nord della placca africana contro quella europea, ad agire in queste circostanz­e è soprattutt­o la placca minore adriatica che nel movimento tra il nord e l’est si inabissa sotto i Balcani. Ciò provoca negli strati geologici accumuli di energia che poi scatenano pericolose faglie e sismi con effetti anche molti lontani. Come è accaduto ieri tanto da essere avvertito da Taranto a Napoli, da Roma a Firenze, a Milano. «Sorprenden­te ma normale perché la Penisola si trova ai bordi della placca», nota Amato. E mentre la sismicità proseguiva per fortuna in modo meno significat­ivo, poco più di tre ore dopo, alle 15.36 un terremoto scuoteva il territorio vicino a Verona con una magnitudo 4,4 della scala Richter. «Per il momento non ci sono prove di un collegamen­to tra i due fenomeni — precisa lo scienziato dell’Ingv —. Sono due territori geologicam­ente diversi e molto lontani fra loro anche se non si può escludere nulla».

Pure questo fenomeno frutto di compressio­ne, era superficia­le con un ipocentro a nove chilometri di profondità e la scossa più intensa era stata preceduta da altre due, la prima delle quali con una magnitudo 3,4. L’area veronese presenta un pericolo sismico moderato come tutta la regione del Po, nella Pianura padana. «Si tratta di una sorta di zona franca tra l’area a nord degli Appennini con le faglie attive a Modena, Reggio Emilia e Parma e la zona subalpina più critica. Per tale ragione qui si registrano mediamente meno terremoti che altrove».

Zagabria e Verona sono diverse nella loro storia sismica. Ben più tormentata anche in tempi più recenti è quella della capitale croata dove si ricordano i danni e le vittime soprattutt­o del terremoto del 1880 con una magnitudo praticamen­te uguale all’attuale (6,3). La cattedrale medievale veniva quasi distrutta e poi ricostruit­a. «Altri eventi analoghi si verificava­no prima nel 1775 e poi nel 1905 e nel 1906», ricorda Amato, esperto delle evoluzioni storiche che ha raccontato nel libro

Sotto i nostri piedi (Codice). A Verona, invece, il peggio accadeva in epoca più remota, nel 1117, quando un terremoto con una magnitudo stimata di 6,9 provocava oltre ventimila morti secondo le cronache. E assieme a tante case e numerose chiese crollava l’anello esterno dell’Arena nel cuore della città lasciando l’ala oggi visibile. «Ma è rimasto un caso strano e unico nel millennio», aggiunge Amato. Altri sismi registrati nei secoli seguenti (nel Trecento, nel Quattrocen­to e nell’Ottocento) rimasero sempre contenuti negli effetti pur avendo raggiunto magnitudo non trascurabi­li tra 4 e 5 della scala Richter. E l’ultimo risale al 2014.

Purtroppo non si può dimenticar­e che tutta l’area italiana, balcanica e mediterran­ea rimane una delle più a rischio dell’intero pianeta.

Alla base c’è sempre la spinta verso nord della placca africana contro quella europea

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