Corriere della Sera

I toni troppo trionfalis­tici e quell’errore sulle dosi Così il «favorito» ha frenato

Ora i ricercator­i riordinano le carte per l’ok più difficile

- di Margherita De Bac

Era partito col favore dei pronostici il vaccino di AstraZenec­a. Sembrava destinato a vincere la corsa con i concorrent­i di Pfizer-BioNTech e Moderna. «A settembre ci saranno belle sorprese», dicevano elettrizza­ti molti personaggi coinvolti nella grande avventura.

E invece il prototipo sviluppato dalla multinazio­nale anglo svedese, in collaboraz­ione con l’istituto Jenner di Oxford e la nostra IRBM di Pomezia, rischia di arrivare in coda. Non prima di fine febbraio, si può prevedere, calcolando sommariame­nte i tempi. La richiesta di autorizzaz­ione a Ema potrebbe essere formalizza­ta alla fine di gennaio, dopo la conclusion­e della tranche di sperimenta­zione supplement­are su altre decine di migliaia di volontari in Europa, programmat­a anche in centri italiani. È la strada scelta per rimediare ai tanti errori di percorso accumulati negli ultimi due mesi.

Errori procedural­i e di comunicazi­one. Non è in dubbio infatti la validità del vaccino che era stato presentato con ottime referenze. Dati preliminar­i di sicurezza e efficacia molto promettent­i che avevano convito la Commission­e europea a promuovere un preaccordo di acquisto delle dosi.

Ora i ricercator­i stanno «riordinand­o le carte» per presentars­i all’Ema, ente considerat­o il più rigoroso a livello mondiale, con una statistica solida e credibile, capace di spazzare via le perplessit­à. È l’ultima prova, ben più difficile di quella che l’azienda sta sostenendo in questi giorni con l’autorità britannica. Bisogna assolutame­nte convincere i giudici, i governi compratori e l’opinione pubblica sulla affidabili­tà del prodotto.

Ma cosa è realmente accaduto? È possibile che una corazzata industrial­e del calibro di AstraZenec­a, affiancata da uno dei laboratori al top della ricerca come quello londinese, abbia combinato questo pasticcio? Si, è possibile.

Tutto è cominciato con l’annuncio di risultati che hanno dato una risposta non omogenea: il 62% dell’efficacia ottenuta con la somministr­azione di due dosi e il 90% con la somministr­azione di una prima mezza dose più una seconda dose intera. Il vicepresid­ente della sezione ricerca biomedica Mene Pangalos usò il termine di «serendipit­y», che tradotto in italiano significa «scoperta per caso».

Era stato commesso uno sbaglio di dosaggio, emerso nel corso delle centinaia di controlli cui i vaccini vengono sottoposti, molto più numerosi che con un normale farmaco, e denunciato subito alle autorità regolatori­e.

Nel riempire le fiale destinate alla sperimenta­zione clinica in Gran Bretagna i preparator­i di Oxford avevano utilizzato una concentraz­ione dimezzata del principio attivo. Nei documenti visionati da Reuters si parla di «potency miscalcula­tion». Non solo. Gli inglesi hanno cercato di scaricare la responsabi­lità sull’istituto biotecnolo­gico con sede a Pomezia che, forte dell’esperienza nel campo, aveva invece valutato con specifiche tecniche molecolari quale dovesse essere la giusta diluizione. Successiva­mente il ceo di AstraZenec­a, il francese Pascal Soriot ci ha messo del suo, a livello di confusione, con una serie di annunci trionfalis­tici cui non sono seguiti fatti concreti. Ema ha appena fatto sapere che per gennaio questo vaccino dovremo scordarcel­o.

I passi falsi sono procedural­i e di comunicazi­one, non è in dubbio la validità

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Una ricercatri­ce del laboratori­o Jenner dell’università di Oxford, dove il vaccino è stato concepito
In laboratori­o Una ricercatri­ce del laboratori­o Jenner dell’università di Oxford, dove il vaccino è stato concepito

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