«Signor presidente, basta follie» L’ultimo colpo di Murdoch a Trump
Prima pagina brutale del tabloid del magnate (e ormai ex sostenitore): così incita al golpe
Il titolo in prima pagina è brutale: «Presidente, basta con questa follia. Lei ha perso le elezioni, ecco come può salvare il suo lascito politico». Così il 27 dicembre anche il New York Post ha scaricato Donald Trump. Il tabloid fa capo a Rupert Murdoch e negli ultimi quattro anni ha appoggiato senza riserve, con spirito militante, l’avventura politica del costruttore newyorkese. Adesso: «Stop». Lo strappo è firmato dall’editorial board, cioè è condiviso dalla direzione e dalla proprietà: «Signor presidente è venuto il momento di mettere fine a questa cupa farsa...Sfortunatamente lei è ossessionato da quello che accadrà il 6 gennaio, quando il Congresso, con un atto formale, certificherà il risultato del Collegio elettorale. Lei ha twittato che se i repubblicani avranno coraggio potranno rovesciare questo risultato e consegnarle altri quattro anni di presidenza. In altri termini lei sta incoraggiando un colpo antidemocratico».
L’articolo demolisce la falange che continua a difendere Trump. L’avvocata Sidney Powell «è una pazza» che diffonde falsità ridicole, immaginando un complotto del leader venezuelano Nicolas Maduro per manipolare i macchinari degli uffici elettorali. L’ex consigliere per la Sicurezza, Michael Flynn, che suggerisce il ricorso alla legge marziale, è «l’equivalente di un traditore».
Il New York Post chiede al presidente di concentrarsi sui ballottaggi in Georgia, dove saranno in gioco due seggi decisivi per gli equilibri del Senato. È una specie di ultimo appello. Murdoch, 89 anni, probabilmente, si considera uno dei pochi in grado di provarci. I suoi rapporti con Trump, in realtà, sono stati discontinui. È vero che negli anni ‘80 e ‘90 il suo New York Post, acquistato nel 1976, ha contribuito a costruire il marchio di «The Donald»: imprenditore, celebrità televisiva, protagonista della vita brillante della Grande Mela.
Tuttavia il tycoon australiano non ne ha incoraggiato l’avventura politica. In un passaggio del libro Fuoco e Furia, Michael Wolff racconta come, fino al 2015, Murdoch considerasse Trump «un clown, nel migliore dei casi».
Poi anche lui ha preso atto che stava arrivando una nuova stagione, convinto anche da Roger Ailes, l’ideatore dell’attuale formula di Fox News. Per quattro anni, anche dopo l’uscita di Ailes nel 2016, il gruppo televisivo ed editoriale di Murdoch è stato il vero partito trumpiano del Paese. E la direzione del New York Post, insieme con gli anchor di Fox News Sean Hannity, Tucker Carlson, Laura Ingraham, sono stati gli ultrà del presidente.
Con il tempo Murdoch, scrive sempre Wolff, è diventato uno dei consiglieri informali di Trump, resistendo anche alle pressioni del suo secondogenito, James Murdoch, 47 anni, che si è dimesso da ogni carica operativa il 31 luglio scorso «per disaccordi sui contenuti editoriali pubblicati dai giornali della società». C’erano di mezzo anche le politiche ambientali di Trump, apprezzate pure dal New York Post.
Per decenni Rupert Murdoch ha avuto fama di conservatore pragmatico. Apprezzò Margareth Thatcher, ma ebbe anche una breve simpatia per Tony Blair impegnato nella guerra in Iraq. È chiaro che ora non abbia alcuna intenzione di seguire Trump nella «follia». Si era già capito dall’editoriale pubblicato il 20 dicembre su un altro suo quotidiano, il Wall Street Journal, espressione dell’establishment finanziario: «La brutta uscita di Trump». Ma la conclusione del New York Post è destinata a rimanere: «Noi comprendiamo, signor Presidente, che lei sia arrabbiato per la sconfitta. Però continuare lungo questa strada è rovinoso .... I democratici la liquideranno come un’aberrazione durata un solo mandato e, francamente, lei li sta aiutando. Il Re Lear di Mara-Lago che farnetica contro la corruzione del mondo».
In questi quattro anni Fox News e il «New York Post» sono stati il vero partito trumpiano