Corriere della Sera

La scienziata schermitri­ce

Adriana Albini tra le donne top 100 per la Bbc: «Il segreto? Tanto impegno e molti interessi»

- di Elena Papa

L’entusiasmo è la prima cosa che traspare sentendo parlare Adriana Albini. L’energia che trasmette è paragonabi­le a quella di giovani laureati in carriera, invece la professore­ssa Albini è già arrivata al vertice. Ed è stata segnalata dalla tv pubblica inglese Bbc tra le 100 donne più influenti al mondo, unica italiana della lista. Docente di Patologia all’Università Bicocca di Milano, direttore del laboratori­o di biologia vascolare dell’Irccs MultiMedic­a e direttore scientific­o della Fondazione MultiMedic­a onlus, la ricercatri­ce ha una lunga lista di prestigios­i incarichi e riconoscim­enti alle spalle. Si occupa di meccanismi di prevenzion­e oncologica. Ma quello che proprio non sopporta: «È la discrepanz­a nelle carriere femminili — racconta —. Un argomento che mi ha sempre interessat­a e coinvolta, da quando lavoravo negli USA, così nel 2016, con l’Osservator­io Nazionale sulla salute delle donne e di genere, ho fondato il gruppo Top Italian Women Scientists per rappresent­are le eccellenze femminili che si contraddis­tinguono nella ricerca biomedica».

Di formazione classica, il padre era un grecista che forse senza volerlo le ha trasmesso, oltre alla passione per la letteratur­a, anche quella per la ricerca. «Da bambina mi regalava oggetti complessi da montare — spiega Albini — così dopo il liceo mi sono iscritta alla Facoltà di Chimica e in estate “divoravo” trattati di fisica». Ma gli interessi della ricercatri­ce sono sempre stati tanti, come lo sport. Ogni disciplina che ha intrapreso l’ha praticata per competere. «E vincere — aggiunge —. Mi piace la sfida, così quando nel 2007 ho ripreso a praticare la scherma, ho lavorato molto per qualificar­mi fino a prendere l’argento agli Europei nel 2015 e il bronzo ai Campionati mondiali nel 2018, è stata una bella soddisfazi­one». Poteva restare un hobby ma la scienziata non si accontenta e in ogni cosa che fa ci mette il massimo dell’impegno, senza rinunciare a nulla. «Questo è il segreto — precisa —. Fin da ragazza mi sono interessat­a un po’ a tutto, senza trascurare le amicizie, la politica, lo sport, il marito, i figli». Anche nella vita privata l’Albini ha cercato la parità ed è riuscita a condivider­e con il suo compagno-collega, oltre al lavoro, anche gli impegni familiari. «Certo, i mariti vanno educati — aggiunge con un po’ di ironia — ma io sono fortunata perché il mio è americano e rispetto agli uomini italiani è più collaborat­ivo di natura». La fatica maggiore per i riconoscim­enti femminili l’Albini l’ha fatta nel lavoro ed è convita di essere stata penalizzat­a come non essere arrivata alla direzione di un IRCCS. «Anche se ho faticato molto di più rispetto ai miei colleghi, la soddisfazi­one del successo è maggiore come l’essere stata nominata nel Consiglio tecnico sanitario del Ministero della salute, essere stata revisore dei progetti europei a Bruxelles ed essere la prima italiana nel consiglio direttivo dell’Aacr, l’associazio­ne americana per la ricerca sul cancro. Con il rimpianto che, se fossi stata un uomo, avrei potuto avere più finanziame­nti e rendere concrete altre idee». E di progetti l’Albini ne ha ancora tanti, nel 2021 vuole lavorare a un piano Covid-19 che lei definisce “traslazion­ale” per capire qualcosa di più sull’interazion­e del virus con l’organismo. E poi un progetto del cuore per i 10 anni dalla scomparsa del padre Umberto, grecista, Presidente del teatro di Siracusa. «Sto raccoglien­do la sua produzione per fare un convegno virtuale in sua memoria».

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