Galeotta la spedizione archeologica Così nacque Assassinio sul Nilo
Ritmo, protagonisti brillanti, ambientazione esotica rendono unico il giallo «egiziano» di Agatha Christie, che conobbe il secondo marito tra gli scavi
D ietro la piacevolezza dei due titoli più famosi di Agatha Christie (1890-1976) si nasconde una storia personale che vale la pena raccontare. Assassinio sul Nilo, del 1937, e prima ancora Assassinio sull’Orient Express, del 1934, fanno parte del gruppo di romanzi «di viaggio all’estero» (così li definì Christie) per i quali l’autrice nutriva un amore speciale: «Credo proprio — scrisse di Assassinio sul Nilo — che sia uno dei miei migliori romanzi». E non si ingannava. Si può credere che i due capolavori rispondessero soltanto alla moda dell’esotismo del primo Novecento, quella stessa che spingeva inglesi e americani ad avventurarsi nel Grand Tour non solo nell’Italia di Camera con vista (di E. M. Forster, 1908) ma fino in Egitto e in Medio Oriente, a caccia di luoghi pittoreschi. Invece, c’è molto altro.
Per scoprirlo, bisogna fare un passo indietro nella vita della scrittrice inglese. Il 1926 era stato l’anno del divorzio campo archeologico dell’antica città mesopotamica di Ur, ospite di Leonard Wolley, direttore degli scavi, e della moglie. Wolley era una celebrità dell’archeologia e non aveva tempo per scarrozzare la famosa scrittrice tra le rovine romantiche: l’affidò quindi al suo assistente, un giovane e promettente archeologo di 26 anni, Max Mallowan: un uomo intelligente, aitante e con uno sguardo sornione che avrebbe mantenuto per tutti i 46 anni di matrimonio; sì, perché la quarantenne giallista e il prestante archeologo, complice una tempesta di sabbia che li colse durante una gita, si innamorarono e si sposarono dopo appena sei mesi, per non lasciarsi più.
Fu, dopo tante disavventure, l’inizio di un periodo d’oro. Il giovane studioso intraprese nuovi scavi fino a portare alla luce le meraviglie di Nimrud, la città dei leoni di pietra (distrutti nel 2015 dalla follia dell’Isis), e fu nominato baronetto per questa e per altre scoperte insigni. E la signora Christie Mallowan non solo viaggiò tra Iraq, Siria ed Egitto, accompagnando il marito in tutte le sue missioni archeologiche, fotografando i lavori e gettandosi lei stessa come un segugio alla scoperta di molti pezzi antichi (alcuni sono conservati al British Museum e nell’americano Penn Museum); ma attraversò anche la stagione più felice della sua carriera di scrittrice.
Molti dei suoi libri sono nati in piccole stanze vicino ai siti di scavo: mentre il marito ormai principal investigator (così è chiamato il capo spedizione) scopriva antichi tesori, l’investigatore Hercule Poirot di Christie scopriva indizi e risolveva misteri. Dell’esperienza scriveranno entrambi, lei nell’autobiografia La mia vita, uscita postuma (Mondadori, 1978), e il marito nei suoi Mallowan’s Memoirs: Agatha and the Archaeologist (HarperCollins, 2010). La differenza d’età tra loro fornì alla Christie anche materiale per una nota battuta: «Un archeologo è un marito ideale per una donna, perché più lei invecchia e più lui l’apprezza».
Assassinio sul Nilo giunge in questa stagione rosea e nuziale, e ne riflette l’atmosfera trascinante: i capitoli si susseguono pimpanti come la giovane ereditiera che domina la scena, Linnet Ridgeway, guarda caso in viaggio di nozze con il marito Simon Doyle. Certo, lo sguardo ironico della giallista è in agguato, cosicché Linnet è anche la vittima sul cui omicidio dovrà indagare Poirot; ma il ritmo del libro è sfrenato e il suo Medio Oriente è vivido e non manierato, denso dei particolari di un mondo che Christie conosce davvero — la strada che sbuca a margine del fiume, i locali notturni che pullulano di inglesi («Londra ballava», si legge nel libro) e, su tutto, i tesori dell’archeologia tanto amata, il tempio di Abu Simbel e il sito di Luxor.
Dal vero
Il suo Medio Oriente è vivido e non manierato, denso dei particolari di un mondo che conosce