Corriere della Sera

«Io, Pogacar, re della normalità nel ciclismo dei baby fenomeni»

Il vincitore a sorpresa del Tour e un sogno rosa: «Cresco un po’ e vengo al Giro»

- Gaia Piccardi

Tadej pedala che sembra un uomo ma, visto da vicino, dimostra tutti i suoi 22 anni trascorsi a mangiare asfalto. Ha le sneakers alla moda, il ciuffo spettinato e una vocina sottile, ben diversa dal ruggito con cui ha annichilit­o Primoz Roglic nella crono finale del Tour. Non viene dal cross, come i due Van (der Poel e Aert). E nemmeno dalla pista, come Filippo Ganna. Arriva da Komenda, in Slovenia, che gli ha appena dedicato un francoboll­o. E forse proprio perché viaggia leggero, senza zavorre emotive né fari addosso (vedi Evenepoel), Tadej Pogacar, classe 1998, residente a Montecarlo e fidanzato con la ciclista Urska Zygart, è già il corridore più vincente della nuova generazion­e di ragazzi terribili, incluso quel Tao Geoghegan Hart che al Giro d’Italia, lo scorso ottobre, ha improvvisa­mente fatto sentire decrepito Vincenzo Nibali.

Chi sei, Taddeo? «Uno che passa tutto il suo tempo in bicicletta, poi a recuperare e infine a letto per riposare. Nel tempo libero vedo la mia ragazza, seguo Formula 1 e MotoGp alla tv, guardo La Casa di Carta su Netflix». Eccolo, il re a sorpresa del Tour de France, di passaggio a volo radente alla Colnago per omaggiare il

sciur Ernesto (89 anni il 9 febbraio), curiosare come un bambino a Disneyland nel museo pieno di prelibatez­ze, spiegare come ha messo in riga tutti a Parigi, prendendos­i il giorno prima del traguardo («La convinzion­e è cresciuta per strada e nella crono non sono partito pensando alla maglia gialla: ho capito che era mia solo dopo l’arrivo di Primoz» mente) ciò che sembrava destinato all’amico-rivale Roglic («Con lui ho un bel rapporto, ci stimiamo. Segreti in Slovenia non ne abbiamo: lo sport ha un ottimo sistema di reclutamen­to tra i ragazzi»). Non ha il fascino dell’incantator­e di serpenti, Tadej, infatti l’impresa sulla Planche des Belles Filles non ha convinto tutti. Tom Dumoulin, nel documentar­io «Codice giallo» della tv olandese Nos (di parte), non la tocca piano: «Sono arrivato secondo dietro un corridore che guida la bici da crono come un minatore — ha detto il vincitore del Giro 2017 —.

Non riesco a spiegarmi come abbia fatto a darmi un minuto e mezzo». E anche Roglic non è stato tenero: «Spero che qualcuno calcoli i watt necessari per un’azione del genere. Se il ciclismo è questo, significa che si può vincere un giro con una sola tappa».

Impermeabi­le alle critiche, Pogacar guarda dritto davanti a sé. Preparerà il Tour, dove correrà da campione in carica («Conosco le strade della Bretagna, ci ho vinto un bronzo europeo da junior: non sarà un inizio facile»), ma sogna un Giro da protagonis­ta («Certo che in Italia voglio correre»), anche se è presto per pensare di poter doppiare («Due grandi giri sono un impegno enorme: tra Giro e Tour c’è troppo poco recupero, se prendersi il rischio va deciso insieme al team Uae Emirates»). E poi ci sarebbero anche i Giochi di Tokyo, ovvio: «Troppo, in questo momento, a cui pensare».

Racconta che il successo non gli ha cambiato la vita («Ho la stessa casa, la stessa bici e la stessa ragazza. Aver scoperto che posso correre all’altezza dei migliori ciclisti del mondo mi ha solo portato più attenzione mediatica»), che da bambino tifava Armstrong, Contador e i fratelli Schleck senza averne mai fatto idoli («Oggi il mio punto di riferiment­o è Luka Doncic, stella dei Mavericks nell’Nba, giustament­e lo sloveno più famoso del pianeta»), promette che saprà gestire anche i periodi bui: «Fino a qui mi è andato tutto bene, ma il 2021 sarà in salita: è più difficile confermars­i, che vincere per la prima volta. Se qualcosa andrà storto non mi abbatterò, anzi: sarò ancora più motivato». Il grande privilegio di avere 22 anni da tre mesi, in fondo, è «sapermi concedere di poter sbagliare».

Colnago, che da Merckx in poi di fuoriclass­e nella ditta di Cambiago (Milano) ne ha visti sfilare parecchi, non ha dubbi: «Pogacar è intelligen­te, ha i piedi per terra e sa cosa vuole. Io dico che, alla fine, ce lo ricorderem­o tra i grandi». Lui, serissimo, firma la maglia, la bici gialla destinata al museo, le cartoline ricordo che lo ritraggono nel pieno esercizio delle sue funzioni: caschetto, occhiali spaziali e fame d’aria, da qualche parte tra Alpi e Pirenei. Cosa ti sei regalato per Natale, Tadej? «Niente. Prima del Tour avevo pensato a un’auto nuova, ma in realtà non mi serve: ho tutto. Quando il mio compagno Davide Formolo si è presentato alla porta con la torta e le candeline, però, mi sono emozionato».

Tra talento e dubbi

Dumoulin attacca: «Battuto in Francia da uno che guida la bici come un minatore»

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Tadej Pogacar, 22 anni, sloveno del Team Uae Emirates, verso il traguardo dell’ultima tappa del Tour de France, la corsa che quest’anno ha vinto a sorpresa
(Afp) A Parigi Tadej Pogacar, 22 anni, sloveno del Team Uae Emirates, verso il traguardo dell’ultima tappa del Tour de France, la corsa che quest’anno ha vinto a sorpresa

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