Corriere della Sera

SanPa, un caso la serie tv La comunità protesta: «Un racconto di parte»

Il presidente Rodino Dal Pozzo: temo l’impatto sui nostri ragazzi L’autore Gabardini: era doveroso mostrare anche le zone buie

- Silvia Morosi

Ha fatto subito discutere la serie SanPa — Luci e Tenebre di San Patrignano, uscita il 30 dicembre su Netflix, dedicata alla comunità di San Patrignano fondata a Rimini nel 1978 da Vincenzo Muccioli, destinata a diventare il più grande centro di riabilitaz­ione per tossicodip­endenti in Europa.

«Il racconto che emerge è unilateral­e, sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonia­nze di detrattori, qualcuno anche con trascorsi di tipo giudiziari­o in cause civili e penali conclusasi con sentenze favorevoli alla Comunità stessa», sottolinea in una nota la Comunità, senza che venga mostrata allo spettatore «la vera natura delle fonti». Quella che viene mossa dalla Comunità al documentar­io è — soprattutt­o — una critica alla ricostruzi­one della vicenda: «Si tratta di un racconto sbilanciat­o, che ha voluto spettacoli­zzare alcuni episodi drammatici che non raccontano la storia della Comunità in quasi 40 anni e più di vita», sottolinea Alessandro Rodino Dal Pozzo, presidente di San Patrignano da settembre 2019, entrato come ospite in Comunità nel 1985.

Per trasparenz­a e correttezz­a — sottolinea — «abbiamo ospitato per diversi giorni la regista della serie, che è stata libera di parlare con tutti all’interno della comunità, e le abbiamo fornito l’elenco di un ampio ventaglio di persone che hanno vissuto e tuttora vivono a San Patrignano e della quale conoscono bene storia passata e presente». Un elenco — chiarisce — «totalmente disatteso», ad eccezione del responsabi­le terapeutic­o Antonio Boschini. «Quello che critichiam­o — quindi — non è l’idea di realizzare un prodotto sulla nostra esperienza, ma il metodo con cui è stato proposto: la comunità in questi anni è cresciuta, e alcune vicende che vengono raccontate nel video — che si conclude nel 1995 e non va oltre — sono già state condannate. Il nostro è un metodo di accoglienz­a, non di violenza, e non è forse un caso se nel 2020, in piena emergenza Covid, abbiamo accolto circa 150 persone», chiarisce Rodino Dal Pozzo. «Dannoso è riassumere meno di vent’anni di storia della comunità così, generalizz­ando alcuni episodi, e dimentican­do di raccontare cosa ha significat­o quest’esperienza, che — se non fosse stata così fondamenta­le per l’Italia — non sarebbe in piedi ancora oggi. Temo, quindi, — conclude — l’impatto che questo racconto così parziale potrebbe avere oggi sui nostri ragazzi».

La docu-serie è stata realizzata con venticinqu­e testimonia­nze, 180 ore di interviste e immagini tratte da oltre 50 differenti archivi. A rispondere alle critiche è Carlo Garardini, co-autore del prodotto con la regista Cosima Spender: «Mi addolora il giudizio dato dalla Comunità, certo non mi sarei aspettato non ci fossero obiezioni. Se San Patrignano ci avesse riempito di lodi dicendoci “grazie, avete realizzato uno splendido spot per le nostre convention”, sarei stato preoccupat­o. La nostra idea era — chiarisce — realizzare un prodotto documentar­istico, raccontand­o la storia nella sua complessit­à, senza compiacere una delle mille parti in causa che, comunque, sarebbe stata scontentat­a». Abbiamo voluto proporre «una storia più grande, che aveva bisogno ed era doveroso raccontare anche nei confronti di quanti sono stati protagonis­ti — anche nelle zone buie. Una storia che parla dell’Italia del 1978 e di quella di oggi. Dal tema della droga a quello del ruolo che può avere nella società un uomo forte». Molte persone — conclude Gabardini — «anche se contattate, non hanno voluto o potuto essere intervista­te. San Patrignano ha rappresent­ato e rappresent­a una pagina importante della nostra memoria collettiva. Non si può essere neutrali se si è vissuto o si vive dentro una storia come questa. Abbiamo voluto raccontare tutto senza fascinazio­ni».

«Il metodo che usiamo è l’accoglienz­a, non la violenza: questa è la nostra storia»

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(il primo, al centro) guida centinaia di ragazzi ex tossicodip­endenti e operatori volontari di San Patrignano in uno scatto pubblicato di recente sul profilo Instagram della comunità. Muccioli è morto il 19 settembre 1995 all’età di 61 anni
Insieme Vincenzo Muccioli (il primo, al centro) guida centinaia di ragazzi ex tossicodip­endenti e operatori volontari di San Patrignano in uno scatto pubblicato di recente sul profilo Instagram della comunità. Muccioli è morto il 19 settembre 1995 all’età di 61 anni

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