Una trattativa in salita «Qui è tutto da rifare»
Le offerte per un rimpasto si sono rivelate inutili Renzi è al bivio: sì al Conte ter o far saltare il banco
Alla fine a picconare il Conte 2 non è Renzi ma Speranza. Per difendere la «sua» Basilicata il ministro della Salute, come fosse un semplice deputato di collegio, boccia la mappa dei siti per i rifiuti radioattivi resa nota dal governo. Il suo clamoroso comunicato testimonia che l’epicentro della crisi è a Palazzo Chigi.
La sortita di Speranza è la prova non solo dell’assenza di coordinamento tra i dicasteri, ma della totale mancanza di gioco di squadra e di solidarietà nell’esecutivo. D’altronde il ministro della Difesa Guerini aveva già riconosciuto i sintomi della crisi osservando le dinamiche in Parlamento, «perché quando ogni gruppo della maggioranza applaude solo il proprio relatore, significa che si è rotto qualcosa». È singolare che Conte non se ne fosse accorto, o forse faceva affidamento proprio sulle divisioni nella coalizione per regnare a Palazzo Chigi. Questo schema è saltato, e infatti ora il premier — pur di durare — ha accettato in un sol colpo di trasformare la governance del Recovery fund, aumentare le risorse per la sanità, eliminare la Fondazione per la cyber sicurezza e sacrificare persino la sua squadra, che pure definiva «la migliore del mondo».
Ma le offerte per un rimpasto — che tecnicamente non esiste — si sono rivelate inutili e strumentali. Come la ventilata idea di affidare a Draghi l’Economia. Era una manovra per mostrare disponibilità e al contempo scaricare sull’ex presidente della Bce la responsabilità dello scontato rifiuto: perché è vero che Ciampi accettò il ministero del Tesoro, ma allora alla guida del governo c’era Prodi. Il resto, le proposte di dicasteri di peso a Italia viva, sono state rispedite al mittente da Renzi, che insiste nel chiedere prima le dimissioni di Conte e il passaggio della crisi dal Quirinale: «Solo da lì si può ricominciare». Ecco il motivo per cui ieri mattina Franceschini annotava che «è tutto da rifare».
Il Pd vede il caos e lo teme. Davanti alla segreteria dem Zingaretti ha provato a issare una sorta di linea Maginot: «Non ci sono alternative a Conte, in questa fase». Come a dire che in una fase successiva, quella del semestre bianco, le cose cambieranno. Ma il quadro politico potrebbe reggere così fino all’estate? E nel frattempo una crisi pilotata per approdare rapidamente a un Conte 3 sarebbe praticabile? Le garanzie in quel caso potrebbe darle solo Renzi, che si trova davanti a un bivio. Se accettasse, lascerebbe intuire che sta immaginando per sé un’exit strategy dalla politica e ridarebbe corpo alle voci che lo vogliono interessato all’incarico di segretario generale della Nato. «Altrimenti — come si è lasciato scappare un dirigente dem — Matteo non vestirebbe i panni dell’utile idiota, facendo per conto di Zingaretti e Di Maio, quello che loro vogliono ma non possono dire. Cioè il ridimensionamento del premier e il rimpasto».
Se invece Renzi facesse saltare il banco, ponendo il veto su Conte, allora si aprirebbero gli spazi anche per un altro esito della crisi. L’apertura a un «governo di salute pubblica» prospettata da Cambiamo potrebbe aver anticipato le mosse dei leader del centrodestra. Fonti autorevoli vicine a Salvini sostengono infatti che l’ipotesi di un «governo di scopo» attraversa le riunioni della Lega: «Sono per ora ragionamenti allo stato embrionale. Per un simile scenario servono le condizioni e i tempi. A meno che il precipitare della situazione nel Paese porti ad appelli all’unità nazionale per salvare l’Italia».
In tal senso il richiamo di Mattarella al «tempo dei costruttori» è stato interpretato con un chiave di lettura particolare dal Carroccio. Ma anche da Fratelli d’Italia. Ce n’è la prova nell’intervista concessa dalla Meloni al Corriere: le sue parole sono state considerate nella maggioranza un «segno di novità» che modificano «il quadro politico». Renzi proverà l’azione di forza per intestarsi la paternità dell'operazione? E il Pd la asseconderebbe o avrebbe ancora la forza per contrastarla? Una cosa è certa, i grillini non sarebbero in grado di opporre la minaccia delle urne. Come ha ammesso di Maio con un esponente dell’opposizione, «le elezioni anticipate non ce le possiamo permettere».