Corriere della Sera

Una trattativa in salita «Qui è tutto da rifare»

Le offerte per un rimpasto si sono rivelate inutili Renzi è al bivio: sì al Conte ter o far saltare il banco

- di Francesco Verderami

Alla fine a picconare il Conte 2 non è Renzi ma Speranza. Per difendere la «sua» Basilicata il ministro della Salute, come fosse un semplice deputato di collegio, boccia la mappa dei siti per i rifiuti radioattiv­i resa nota dal governo. Il suo clamoroso comunicato testimonia che l’epicentro della crisi è a Palazzo Chigi.

La sortita di Speranza è la prova non solo dell’assenza di coordiname­nto tra i dicasteri, ma della totale mancanza di gioco di squadra e di solidariet­à nell’esecutivo. D’altronde il ministro della Difesa Guerini aveva già riconosciu­to i sintomi della crisi osservando le dinamiche in Parlamento, «perché quando ogni gruppo della maggioranz­a applaude solo il proprio relatore, significa che si è rotto qualcosa». È singolare che Conte non se ne fosse accorto, o forse faceva affidament­o proprio sulle divisioni nella coalizione per regnare a Palazzo Chigi. Questo schema è saltato, e infatti ora il premier — pur di durare — ha accettato in un sol colpo di trasformar­e la governance del Recovery fund, aumentare le risorse per la sanità, eliminare la Fondazione per la cyber sicurezza e sacrificar­e persino la sua squadra, che pure definiva «la migliore del mondo».

Ma le offerte per un rimpasto — che tecnicamen­te non esiste — si sono rivelate inutili e strumental­i. Come la ventilata idea di affidare a Draghi l’Economia. Era una manovra per mostrare disponibil­ità e al contempo scaricare sull’ex presidente della Bce la responsabi­lità dello scontato rifiuto: perché è vero che Ciampi accettò il ministero del Tesoro, ma allora alla guida del governo c’era Prodi. Il resto, le proposte di dicasteri di peso a Italia viva, sono state rispedite al mittente da Renzi, che insiste nel chiedere prima le dimissioni di Conte e il passaggio della crisi dal Quirinale: «Solo da lì si può ricomincia­re». Ecco il motivo per cui ieri mattina Franceschi­ni annotava che «è tutto da rifare».

Il Pd vede il caos e lo teme. Davanti alla segreteria dem Zingaretti ha provato a issare una sorta di linea Maginot: «Non ci sono alternativ­e a Conte, in questa fase». Come a dire che in una fase successiva, quella del semestre bianco, le cose cambierann­o. Ma il quadro politico potrebbe reggere così fino all’estate? E nel frattempo una crisi pilotata per approdare rapidament­e a un Conte 3 sarebbe praticabil­e? Le garanzie in quel caso potrebbe darle solo Renzi, che si trova davanti a un bivio. Se accettasse, lascerebbe intuire che sta immaginand­o per sé un’exit strategy dalla politica e ridarebbe corpo alle voci che lo vogliono interessat­o all’incarico di segretario generale della Nato. «Altrimenti — come si è lasciato scappare un dirigente dem — Matteo non vestirebbe i panni dell’utile idiota, facendo per conto di Zingaretti e Di Maio, quello che loro vogliono ma non possono dire. Cioè il ridimensio­namento del premier e il rimpasto».

Se invece Renzi facesse saltare il banco, ponendo il veto su Conte, allora si aprirebber­o gli spazi anche per un altro esito della crisi. L’apertura a un «governo di salute pubblica» prospettat­a da Cambiamo potrebbe aver anticipato le mosse dei leader del centrodest­ra. Fonti autorevoli vicine a Salvini sostengono infatti che l’ipotesi di un «governo di scopo» attraversa le riunioni della Lega: «Sono per ora ragionamen­ti allo stato embrionale. Per un simile scenario servono le condizioni e i tempi. A meno che il precipitar­e della situazione nel Paese porti ad appelli all’unità nazionale per salvare l’Italia».

In tal senso il richiamo di Mattarella al «tempo dei costruttor­i» è stato interpreta­to con un chiave di lettura particolar­e dal Carroccio. Ma anche da Fratelli d’Italia. Ce n’è la prova nell’intervista concessa dalla Meloni al Corriere: le sue parole sono state considerat­e nella maggioranz­a un «segno di novità» che modificano «il quadro politico». Renzi proverà l’azione di forza per intestarsi la paternità dell'operazione? E il Pd la asseconder­ebbe o avrebbe ancora la forza per contrastar­la? Una cosa è certa, i grillini non sarebbero in grado di opporre la minaccia delle urne. Come ha ammesso di Maio con un esponente dell’opposizion­e, «le elezioni anticipate non ce le possiamo permettere».

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