Impariamo dal passato, cinema e teatri devono vivere
La chiusura di cinema, teatri, conservatori e musei non ha colpito solo i lavoratori del settore, può infliggere un colpo mortale anche all’identità nazionale e culturale dell’Italia. Senza il loro contributo c’è il rischio concreto che il nostro Paese faccia pericolosi passi indietro. Che cosa si può fare per evitare il peggio.
Da una parte ci sono i dati Cinetel: meno 71 per cento di incassi e presenze al cinema nell’anno appena concluso rispetto al precedente. Che diventano meno 93 per cento se prendiamo in considerazione il periodo dall’8 marzo (primo giorno di chiusura nazionale delle sale) al 31 dicembre. Una catastrofe.
Dall’altro lato ci sono i finanziamenti stanziati nel 2020 dal ministero dei Beni culturali: un miliardo e 112 milioni di euro (sugli 11 miliardi globali andati ad arte, spettacolo e turismo) che comprendono, tra l’altro, il potenziamento del tax credit, i ristori a fondo perduto per le sale, i contributi per l’Imu. A cui naturalmente vanno aggiunti la cassa integrazione e gli altri aiuti ai lavoratori costretti all’inattività forzata.
Una specie di confronto a distanza, in attesa di una data che possa indicare la possibile riapertura delle sale, aspettata da tutti come un magico toccasana. Come se i problemi sparissero con l’annuncio del via libera (con che limitazioni? con che restrizioni?), mentre invece rischiano di complicarsi ancora di più, perché la questione è un po’ più complessa di una partita fatta di regole da rispettare e di finanziamenti a pioggia. Quello che è in gioco — con i cinema ma anche con i teatri, con le sale di musica, con i musei — non è solo la ripresa di un’attività produttiva ma il riconoscimento del ruolo e del peso della cultura — cinematografica, teatrale, musicale, museale — nell’economia complessiva di una nazione, nello sforzo per tornare a rimettersi in piedi. Non è quindi solo un problema di posti di lavoro da ritrovare (importantissimi) e di filiere produttive da far ripartire (altrettanto importanti) ma di convinzione che la cultura è necessaria per riaccendere l’identità nazionale e la voglia di ripartire di un Paese.
Abbiamo sentito troppe voci negli ultimi mesi che confondevano la necessità di contenere i contagi con il bisogno di chiudere ogni luogo, tutti pronti a sacrificare le scuole ma non il diritto al consumismo, mettendo la cultura sullo stesso piano delle piste da sci o dei centri commerciali.
A chi di dovere farebbe bene leggere la ricerca, pubblicata nel giugno 2020, di Kristian Blickle, un ricercatore finanziario della Federal Reserve Bank of New York. Non certo un pericoloso sovversivo. Studiando le conseguenze che la Spagnola ha avuto nella Germania degli anni Venti (https:// www.newyorkfed.org/medialibrary/ media/research/staff_reports/ sr921.pdf) ha messo in evidenza gli effetti politici che il calo dei finanziamenti pubblici per la scuola e la cultura avevano avuto nelle zone più colpite dalla pandemia. Incrociando dati e informazioni, compresi l’efficienza dei servizi sanitari, le variazioni di reddito e di occupazione e i consensi politici, è arrivato a poter sostenere che «le epidemie portano le comunità a chiudersi in loro stesse, ad avere meno interesse per la cultura e l’educazione» e che questo «le rende più ricettive verso i messaggi razzisti e nazionalisti». Di fronte a un calo degli investimenti pubblici per istruzione e cultura, la ricerca ci dice che nei länder dell’Est, quelli che avevano avuto il maggior numero di decessi, «a ogni un per cento in più di morti per l’influenza corrisponde uno 0,8 per cento in più di voti per i nazisti».
Certo, si spera che l’Italia del 2021 non sia la Germania del 1933, ma imparare dal passato può sempre essere utile. Per questo, una vera politica culturale post-Covid non dovrebbe occuparsi solo di sanare i problemi provocati dalle chiusure dei luoghi di spettacolo ma preoccuparsi di quando e come potranno ripartire. Soprattutto senza limitarsi a indicare una data per la riapertura e la riduzione di posti disponibili.
Inutile sperare che il pubblico torni subito a riaffollare cinema e teatri, conservatori e musei, tanto più se le proposte più interessanti verranno tenute gelosamente nel congelatore. Bisognerà che l’offerta sia all’altezza delle aspettative, che la comunicazione sia efficace e capillare ma soprattutto bisognerà aiutare chi vuole offrire le proprie opere — penso ai produttori e ai distributori cinematografici, ma anche ai teatranti e agli organizzatori musicali — a non aver paura di sfidare limitazioni e restrizioni (per evitare che le riaperture avvengano nel deserto di prodotti da mostrare, il che allontanerebbe ancor di più il pubblico). So che alcuni esercenti illuminati hanno avanzato dei suggerimenti in questa direzione: mi sembra un’occasione da non perdere e su cui investire seriamente. Idee e risorse, risorse e idee. Per non trovare, fra qualche anno, una ricerca che dimostri come invece di crescere siamo tornati pericolosamente indietro.