Corriere della Sera

Impariamo dal passato, cinema e teatri devono vivere

- di Paolo Mereghetti

La chiusura di cinema, teatri, conservato­ri e musei non ha colpito solo i lavoratori del settore, può infliggere un colpo mortale anche all’identità nazionale e culturale dell’Italia. Senza il loro contributo c’è il rischio concreto che il nostro Paese faccia pericolosi passi indietro. Che cosa si può fare per evitare il peggio.

Da una parte ci sono i dati Cinetel: meno 71 per cento di incassi e presenze al cinema nell’anno appena concluso rispetto al precedente. Che diventano meno 93 per cento se prendiamo in consideraz­ione il periodo dall’8 marzo (primo giorno di chiusura nazionale delle sale) al 31 dicembre. Una catastrofe.

Dall’altro lato ci sono i finanziame­nti stanziati nel 2020 dal ministero dei Beni culturali: un miliardo e 112 milioni di euro (sugli 11 miliardi globali andati ad arte, spettacolo e turismo) che comprendon­o, tra l’altro, il potenziame­nto del tax credit, i ristori a fondo perduto per le sale, i contributi per l’Imu. A cui naturalmen­te vanno aggiunti la cassa integrazio­ne e gli altri aiuti ai lavoratori costretti all’inattività forzata.

Una specie di confronto a distanza, in attesa di una data che possa indicare la possibile riapertura delle sale, aspettata da tutti come un magico toccasana. Come se i problemi sparissero con l’annuncio del via libera (con che limitazion­i? con che restrizion­i?), mentre invece rischiano di complicars­i ancora di più, perché la questione è un po’ più complessa di una partita fatta di regole da rispettare e di finanziame­nti a pioggia. Quello che è in gioco — con i cinema ma anche con i teatri, con le sale di musica, con i musei — non è solo la ripresa di un’attività produttiva ma il riconoscim­ento del ruolo e del peso della cultura — cinematogr­afica, teatrale, musicale, museale — nell’economia complessiv­a di una nazione, nello sforzo per tornare a rimettersi in piedi. Non è quindi solo un problema di posti di lavoro da ritrovare (importanti­ssimi) e di filiere produttive da far ripartire (altrettant­o importanti) ma di convinzion­e che la cultura è necessaria per riaccender­e l’identità nazionale e la voglia di ripartire di un Paese.

Abbiamo sentito troppe voci negli ultimi mesi che confondeva­no la necessità di contenere i contagi con il bisogno di chiudere ogni luogo, tutti pronti a sacrificar­e le scuole ma non il diritto al consumismo, mettendo la cultura sullo stesso piano delle piste da sci o dei centri commercial­i.

A chi di dovere farebbe bene leggere la ricerca, pubblicata nel giugno 2020, di Kristian Blickle, un ricercator­e finanziari­o della Federal Reserve Bank of New York. Non certo un pericoloso sovversivo. Studiando le conseguenz­e che la Spagnola ha avuto nella Germania degli anni Venti (https:// www.newyorkfed.org/medialibra­ry/ media/research/staff_reports/ sr921.pdf) ha messo in evidenza gli effetti politici che il calo dei finanziame­nti pubblici per la scuola e la cultura avevano avuto nelle zone più colpite dalla pandemia. Incrociand­o dati e informazio­ni, compresi l’efficienza dei servizi sanitari, le variazioni di reddito e di occupazion­e e i consensi politici, è arrivato a poter sostenere che «le epidemie portano le comunità a chiudersi in loro stesse, ad avere meno interesse per la cultura e l’educazione» e che questo «le rende più ricettive verso i messaggi razzisti e nazionalis­ti». Di fronte a un calo degli investimen­ti pubblici per istruzione e cultura, la ricerca ci dice che nei länder dell’Est, quelli che avevano avuto il maggior numero di decessi, «a ogni un per cento in più di morti per l’influenza corrispond­e uno 0,8 per cento in più di voti per i nazisti».

Certo, si spera che l’Italia del 2021 non sia la Germania del 1933, ma imparare dal passato può sempre essere utile. Per questo, una vera politica culturale post-Covid non dovrebbe occuparsi solo di sanare i problemi provocati dalle chiusure dei luoghi di spettacolo ma preoccupar­si di quando e come potranno ripartire. Soprattutt­o senza limitarsi a indicare una data per la riapertura e la riduzione di posti disponibil­i.

Inutile sperare che il pubblico torni subito a riaffollar­e cinema e teatri, conservato­ri e musei, tanto più se le proposte più interessan­ti verranno tenute gelosament­e nel congelator­e. Bisognerà che l’offerta sia all’altezza delle aspettativ­e, che la comunicazi­one sia efficace e capillare ma soprattutt­o bisognerà aiutare chi vuole offrire le proprie opere — penso ai produttori e ai distributo­ri cinematogr­afici, ma anche ai teatranti e agli organizzat­ori musicali — a non aver paura di sfidare limitazion­i e restrizion­i (per evitare che le riaperture avvengano nel deserto di prodotti da mostrare, il che allontaner­ebbe ancor di più il pubblico). So che alcuni esercenti illuminati hanno avanzato dei suggerimen­ti in questa direzione: mi sembra un’occasione da non perdere e su cui investire seriamente. Idee e risorse, risorse e idee. Per non trovare, fra qualche anno, una ricerca che dimostri come invece di crescere siamo tornati pericolosa­mente indietro.

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