L’IMPERATIVO È EVITARE ELEZIONI ANTICIPATE
L’impressione è che, senza un’iniziativa rapida di Giuseppe Conte, la prospettiva di un suo terzo esecutivo sia destinata a indebolirsi. L’ipotesi di una crisilampo seguita dalla formazione di un governo con gli stessi partiti si scontra con la diffidenza nei confronti di Italia viva e del suo leader, Matteo Renzi. Ma anche con le esitazioni del premier, che prima hanno frenato le spinte per un rimpasto; e ora lo inducono a sottovalutare la nuova fase, rischiando di armare i suoi avversari. L’attendismo che in passato è apparso o è stato presentato come una strategia vincente, da tempo si è rivelato un limite.
Favorisce le manovre intorno a Palazzo Chigi, evocando sviluppi imprevedibili. Presto diventerà chiaro non solo che nessuno è in grado di assumere la regia di una fase convulsa e confusa, ma che di colpo possono cambiare schema e gioco. Per evitare una crisi al buio sarebbero necessari una risposta rapida alle richieste renziane, e il coraggio di trovare un nuovo equilibrio e di imporlo a M5S e Pd. Gli spazi di mediazione fine a se stessa, tipica dell’attuale governo, sono esauriti. Il problema è che per trovarne altri, e ridefinirli senza ritrovarsi spiazzato e ridimensionato, Conte deve rischiare. Recalcitra, ma forse non ha alternativa.
Il grillino Luigi Di Maio ripete che una crisi sarebbe imperdonabile. E il Pd insiste nell’additare l’instabilità come un lusso proibito. Eppure Renzi insiste che non basta «un rimpastone». Vuole l’apertura della crisi, anche se assicura di non aspirare a posti ministeriali: assicurazione accolta con una punta di scetticismo. Il Quirinale chiede che, se ci sarà, la crisi si apra e si chiuda in un paio di giorni al massimo. Ne concesse tre nel settembre del 2019, quando si formò l’attuale maggioranza dopo la caduta del governo tra M5S e Lega; e oggi l’urgenza è maggiore.
Come conseguenza, è probabile che il governo non cadrà fino a quando non sarà pronta la soluzione per rimetterlo in piedi, ricalibrato. Nessuno si nasconde, tuttavia, che pilotare l’incastro sarà complicato: sia per le diffidenze reciproche tra Conte e Renzi; sia per le tensioni che attraversano un M5S sbandato e impaurito; sia per il nervosismo nelle file del Pd per quanto non è stato fatto finora. E poi ci sono le manovre dell’opposizione, che evoca una maggioranza «di salute pubblica», se l’attuale implodesse.
Significherebbe archiviare la stagione iniziatasi con le elezioni del 2018. Ma con un tasso di ambiguità vistoso: nei programmi, nelle alleanze, nei numeri parlamentari. Per questo è un’eventualità considerata tuttora improbabile. Fa parte di quegli scenari indefiniti, che al momento nessuno è in grado né di prevedere né di costruire. L’unico imperativo che ormai è evidente, è quello di evitare le elezioni anticipate: per non stupire in negativo l’Europa e compromettere i 209 miliardi di euro del Fondo per la ripresa.