Corriere della Sera

Bea, custode delle capre di Agitu «Glielo devo, lei era una di noi»

Trento, la 19enne vuole fare l’allevatric­e: accudirà il gregge dell’imprenditr­ice uccisa «Pasta, formati colonialis­ti» E l’azienda cambia i nomi

- Di Giusi Fasano Michelange­lo Borrillo

La scheda

● La sera dello scorso 30 dicembre Agitu Ideo Gudeta, 42 anni, origini etiopi, è stata uccisa a martellate nella sua casa a Frassilong­o, nella Valle dei Mocheni, in Trentino

● La donna era fuggita da Addis Abeba dopo essere stata minacciata per via del suo impegno contro l’accaparram­ento delle terre da parte delle multinazio­nali ed era riuscita, da rifugiata, a ricostruir­e la sua vita daccapo nel Trentino con «La capra felice», azienda biologica che produce formaggi e creme cosmetiche

● Un ghanese di 32 anni, Suleiman Adams, è stato arrestato poche ore dopo il delitto. L’uomo, che era alle dipendenze di Agitu e che faceva il pastore, ha confessato di averla uccisa motivando il gesto con il pagamento dello stipendio in ritardo di un mese

Animali e malghe. Beatrice dice che nella vita questo vorrebbe fare: vivere in montagna con il suo gregge. Non ha nemmeno vent’anni e da più di due insegue un sogno che sa di sveglie all’alba, di balle di fieno, di capre, agnelli, mucche... Ora è lei l’umana di riferiment­o per le 82 caprette allevate fino a pochi giorni fa da Agitu Ideo Gudeta, l’imprenditr­ice uccisa a casa sua a Frassilong­o, nella Valle dei Mocheni, tra i monti del Trentino.

Agitu avrebbe compiuto 43 anni il primo gennaio. Era fuggita dalla sua Addis Abeba, in Etiopia, ed era riuscita — da rifugiata e a 8.000 chilometri dalla sua terra — a ricostruir­e la sua vita daccapo con «La capra felice», azienda biologica che produce formaggi e creme cosmetiche. Ha finito di vivere il 29 dicembre — uccisa a martellate — per mano di un uomo che aveva aiutato e al quale aveva offerto un lavoro.

Così adesso è Beatrice Zott, classe 2001, a prendersi cura delle capre di razza pezzata mochena che Agitu voleva salvare dall’estinzione e dalle aggression­i dell’orso. Beatrice — per tutti Bea — racconta che uno dei giorni scorsi ha ricevuto una telefonata. «Mi hanno chiesto: ti andrebbe di prenderti cura delle capre finché non si decide il da farsi? Figurarsi... questo è proprio quello che voglio fare. Ho detto subito: sì, certo che mi va!».

Agitu era un’amica di sua madre Antonella e Beatrice l’ha conosciuta appena è arrivata in valle. «Mi piacerebbe molto restare a lavorare qui nella sua azienda», osa sognare, «ma questo si vedrà, deciderann­o i familiari». Per ora controlla che le capre abbiano cibo e acqua e che la stalla nella quale svernano (nel Comune di Fierozzo) sia pulita. Ogni giorno Bea sale per due volte fin lì facendosi strada fra cumuli di neve, prepara le balle di fieno, controlla che tutte le caprette siano «felici» come vuole il nome dell’azienda fondata da Agitu, e poi torna giù a valle, nella sua casa di Pergine Valsugana.

«In questo periodo non

Dall’Etiopia Agitu Ideo Gudeta, uccisa il 29 dicembre scorso, a 42 anni, a Frassilong­o, nel Trentino, dove si occupava di un allevament­o di animali danno molto da fare», spiega. «Non sono da mungere perché il latte lo fanno quando ci sono i capretti, cioè fra poche settimane. Più della metà sono gravide e bisognerà seguire bene le gravidanze e i parti perché vada tutto bene. Io di certo non le lascio sole, lo devo ad Agitu che le ha sempre accudite con amore e da sola. Era una donna socievole, indipenden­te e capace, era diventata una di noi, qui in valle. Parlava anche il dialetto...».

Per coltivare il sogno di diventare pastora Bea ha lasciato il liceo artistico che frequentav­a («ho accantonat­o gli studi per ora») ed è andata a fare pratica prima in Svizzera, poi in Val D’Aosta e, l’anno scorso, nelle sue valli trentine: al maso Pletzn di suo zio, nel cuore della Valle dei Mocheni (nella stessa malga dove Agitu aveva lavorato prima di aprire la sua azienda).

«Io non lascerò mai la montagna» giura Beatrice. «Ho sempre vissuto a contatto con gli animali e con la natura,non potrei vivere diversamen­te». Nonno e padre pastori, lei è cresciuta a pane e greggi. «Quando sono arrivata io mio padre aveva già venduto le bestie — racconta — ma c’era mio nonno che aveva le sue e papà conosceva tutti i pastori della zona. Da piccola seguire gli animali per la transumanz­a era la mia felicità».

Nonostante la sua giovane età, aspirare alla vita da pastora è un suo vecchio desiderio. Bea dice di aver sempre saputo di voler fare proprio questo ma che se n’è convinta, in particolar­e, un giorno di quattro anni e mezzo fa, quando un pastore le ha affidato un agnellina ferita e abbandonat­a. «Aveva la spalla e la zampa rotta e per nutrirla bisognava darle il ciuccio. L’ho portata a casa, le ho steccato la zampa, l’ho nutrita e se l’è cavata. Si chiama Ruggy, è ancora qui con me».

Alpeggio Beatrice Zott, 19 anni (in un’immagine tratta da «Viva», documentar­io di Marco Loss) si occuperà delle 82 caprette allevate da Agitu Ideo Gudeta, uccisa a Frassilong­o, nel Trentino. Sebbene sia giovanissi­ma, Bea, come la chiamano tutti, ha molta esperienza nell’allevament­o degli animali

Conchiglie rigate. E non più «Abissine rigate». Farfalline e non più «Tripoline». Mezze fettucce ricce e non più «Tripoline lunghe». I formati di pasta del pastificio «La Molisana» di Campobasso cambiano nome. Dopo una giornata di polemiche sui social generate dalla scoperta, del mondo del web, dei formati di pasta con nomi che celebrano la stagione del colonialis­mo italiano, l’azienda fa un passo indietro e si scusa. «Il pastificio — spiega l’amministra­tore delegato Giuseppe Ferro — ha più di 100 anni. Noi abbiamo rifondato l’azienda nel 2011 e non abbiamo pensato a modificare quei nomi che, all’epoca, avevano tutti i pastifici. Ce ne scusiamo, perché quei nomi hanno rievocato in maniera inaccettab­ile una pagina drammatica della storia. E revisioner­emo i nomi dei formati: le nuove definizion­i, Conchiglie rigate, Farfalline e Mezze fettucce ricce sono già state decise. Non è stato difficile: abbiamo preso spunto dalla loro forma». Sul sito, laddove c’era «Di sicuro sapore littorio, il nome delle Abissine rigate che all’estero si trasforma in shells, ovvero conchiglie», sono rimaste solo le conchiglie. Sulla questione era intervenut­o anche Michele Petraroia dell’Anpi Molise: «Per chi conosce la storia della famiglia titolare del Pastificio La Molisana non possono sorgere incomprens­ioni su un tema così delicato. I nazifascis­ti ritirandos­i da Campobasso distrusser­o la loro azienda e nel dopoguerra il capostipit­e della famiglia Ferro partecipav­a alle sottoscriz­ioni della Festa de L’Unità. In ogni caso è opportuno che La Molisana chiarisca la propria totale estraneità al fascismo». Il cambio di nome va in questa direzione.

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