Centovent’anni d’isteria
Tre mesi in cura, ma il dottor Freud non guarì Dora. E il caso è ancora aperto
Ottobre 1900, Ida Bauer, una ragazza di 18 anni, viene accompagnata dal padre allo studio del dottor Sigmund Freud in Berggasse 19 a Vienna. La ragazza appartiene a una famiglia ebrea e già due anni prima lo aveva incontrato per i suoi disturbi, tosse insistente, dispnea e abbassamento della voce che continuano a limitare la sua vita. Nonostante le sue perplessità, Ida inizia un trattamento psicoanalitico che durerà soltanto tre mesi perché lei decide di interromperlo.
Ci troviamo ancora nella fase iniziale della costruzione psicoanalitica e il trattamento della ragazza, che Freud chiamerà Dora nel suo famoso scritto Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), rappresenta una pietra miliare di questo percorso. È il caso clinico femminile più rilevante nella casistica del maestro viennese e illustra in modo convincente le sue ipotesi sull’origine sessuale delle nevrosi e dell’isteria.
Quella di Dora è una storia familiare ambigua e anche un po’ sordida, lei subisce ripetuti tentativi di seduzione da parte del signor K., ben più vecchio di lei, di cui anche suo padre è a conoscenza avendo per amante la moglie del signor K., quasi uno scambio implicito. Infastidita dall’insistenza di Freud, che vuole farle ammettere la sua attrazione sessuale per il suo corteggiatore, Dora si allontana delusa dal suo terapeuta. Anche Freud a sua volta si sente sconfitto come lui stesso riconosce e due anni dopo in un breve incontro con lei le dirà che gli ha tolto la soddisfazione di poterla guarire.
Il caso Dora è veramente emblematico perché conferma le ipotesi sul ruolo della sessualità nello sviluppo delle nevrosi e soprattutto aiuta Freud a riconoscere che non è sufficiente fare diagnosi di isteria o formulare interpretazioni quanto piuttosto valorizzare la centralità della relazione terapeutica che riguarda non solo il paziente, ma anche il terapeuta. L’isteria non si caratterizza per un insieme di sintomi ma ha una sua logica profonda, purtroppo fallimentare, che guida il modo di vivere le relazioni. Tuttavia l’approccio di Freud è stato in seguito oggetto di critiche da parte del movimento femminista, che ha messo in luce il pregiudizio maschilista di Freud che ha sottaciuto le pretese del padre e del signor K. indirizzando il proprio focus sui desideri sessuali della ragazza. La stessa società asburgica discriminava le donne come era successo anche nella famiglia di Dora, infatti la ragazza era costretta a frequentare una scuola superiore che comprendeva materie domestiche, mentre il fratello Otto era iscritto al prestigioso Liceo imperiale, che gli avrebbe aperto le porte dell’università e l’avrebbe poi indirizzato verso un ruolo politico di prestigio.
Il caso Dora è una lettura d’obbligo non solo per i futuri psicoanalisti, ma anche per gli psicologi e per quanti provano interesse per queste discipline; tuttavia per tutti l’immagine di questa ragazza è rimasta fissata all’interno dello studio del dottor Freud.
Che le è successo nei decenni successivi a Vienna prima liberata della dinastia degli Asburgo e poi annessa alla Germania nazista con l’Anschluss.
A queste domande risponde il libro Ida, pubblicato da Sellerio due anni fa, scritto dalla nipote di Dora, Katharina Adler, che ricostruisce il percorso personale della bisnonna prima e durante la prima Guerra mondiale fino all’avvento del nazismo e alla sua emigrazione drammatica negli Stati Uniti.
Come ci racconta la bisnipote, Dora apparteneva a una famiglia ebrea laica e benestante che partecipava alla vita culturale della città, all’opera e ai concerti. Purtroppo la vita familiare era abbastanza infelice per la distanza affettiva fra padre e madre, anche perché quest’ultima era affetta dalla cosiddetta nevrosi della casalinga. Forse per questo Dora si sposò ben presto con un giovane ebreo, Ernst Adler, piuttosto debole e inconcludente. Come lei stessa raccontò ad uno psicoanalista, Felix Deutsch, che consultò quando aveva quarant’anni il suo matrimonio era infelice nonostante la nascita di un figlio e lei continuava a soffrire dei suoi disturbi, come dolori intestinali insistenti ed un impaccio motorio a una gamba.
Se il rapporto con il marito era insoddisfacente, ben diverso era il legame con il fratello Otto, giovane brillante e molto impegnato nella politica col Partito socialdemocratico, giungendo a diventare ministro degli Esteri in un governo di coalizione con i cristiano-sociali. Ma questa situazione relativamente favorevole, in cui Dora condivideva i successi politici del fratello, tramontò con la crisi economica del 1929 che colpì duramente l’Austria divenuta un piccolo stato. Anche le proprietà della famiglia ne vennero a soffrire e il fratello Otto fu via via emarginato dal potere, anche perché il governo fu preso in mano da una destra violenta e antisemita. Il clima sociale cambiò rapidamente, dilagò un odio e un risentimento verso gli ebrei e la stessa Dora ebbe a patire più volte aggressioni anche nelle strade come viene raccontato in un libro brillante della storica americana Hanna Decker Freud, Dora and Vienna 1900 (The Free Press, 1991). Per sopravvivere alle ristrettezze economiche Dora aveva iniziato a gestire un Club di Bridge nell’Hotel Royal frequentato dalla borghesia viennese e da molte donne a cui insegnava le regole del gioco. Era un’attività che la gratificava molto, anche perché viveva sola, il marito era morto e il figlio Kurt era frequentemente in viaggio per la sua carriera musicale.
Con gli anni Trenta la democrazia austriaca fu cancellata dal colpo di stato di Engelbert Dollfuss, che aprì poi la strada all’Anschluss tedesco, ovvero l’annessione alla Germania di Hitler. La vita degli ebrei divenne sempre più difficile, beni sequestrati, licenziati dai posti pubblici, obbligati a vivere nei dormitori anticamera dei campi di concentramento. Anche Dora fu licenziata dal Club di Bridge e le fu tolta la cittadinanza e il suo stesso nome cambiato in Sara come succedeva alle donne ebree. Iniziò qui una trafila dolorosa per emigrare negli Stati Uniti dove era andato il figlio Kurt. Vicende drammatiche che la portarono in Francia e poi in Marocco, per sbarcare finalmente nel 1941 a New York, dove visse negli ultimi anni, con disturbi fisici sempre più gravi.
Se l’incontro terapeutico iniziale aveva diviso Dora da Freud, gli eventi successivi avevano sottoposto entrambi alle stesse sofferenze, alle stesse persecuzioni, ai terrori e alle malattie fisiche sempre più invalidanti infine all’emigrazione che li portò lontano dall’Austria Felix che avevano conosciuto in passato, ma che poi si era trasformata in un «giardino delle bestie», come la Germania secondo la stessa definizione dell’ambasciatore americano William Dodd.
Austria non molto felix
Quella che ruota intorno a Ida Bauer è una storia familiare ambigua e anche un po’ sordida