Corriere della Sera

«I capelli come Borg, l’esempio di Sinner Ma il rovescio retrò a una mano è solo mio»

Musetti insegue l’Australia Open: «Sono cresciuto»

- (LaPresse)

Mai Lollo («È tremendo! Nessuno mi chiama così»), a volte Muso, più spesso Muse, Lorenzo Musetti è il futuro che atterra oggi a Doha, alfiere classe 2002 di una piccola pattuglia di italiani che tenta l’arrembaggi­o all’Australian Open passando dalle qualificaz­ioni dislocate in Qatar, prima che un charter della Federtenni­s

aussie trasporti i fortunati vincitori a Melbourne per la quarantena. Con Jannik Sinner campione in fieri, che l’Italia abbia pescato in una cava di marmo di Carrara questa pietra preziosa di 199 giorni più giovane dell’altoatesin­o, raro rovescio monomane e gesti bianchi d’altri tempi, è notizia che la dice lunga sull’abbondanza di tennis nostrano che converge verso le Atp Finals, accasate a Torino per cinque anni. Reduce da una stagione di prime volte (più giovane azzurro negli ottavi di un Master 1000, a Roma; primo 2002 a raggiunger­e una semifinale Atp, a Pula), fresco di una vittoria challenger a Forlì e del n.129 del ranking mondiale, Musetti a 18 anni va di fretta. Come Sinner, più di Jannik.

Lorenzo a fare il marmista come papà Francesco ha mai pensato?

«No. Mio padre me l’ha sempre detto: fare l’operaio non è un mestiere facile. Studiavo: mi piaceva, ero bravo. Avrei fatto l’Università. Ma il tennis mi è sempre riuscito facile, a un certo punto passare alla scuola privata è stata una necessità. Sono alla quinta del linguistic­o, a giugno ho la maturità».

Due sono le figure chiave nella sua formazione. Cominciamo da nonno Renzo.

«Per anni, in pensione, mi ha fatto da tassista tra Carrara e La Spezia. Secondo lui non

Diciottenn­e Lorenzo Musetti, classe 2002, ha vinto il challenger di Forlì ed è numero 129 della classifica giocavo mai bene abbastanza. Mi arrabbiavo ma ora mi rendo conto che mi ha dato una motivazion­e in più per migliorarm­i. È morto mentre ero a un torneo U12 in Francia: sulla tomba ha voluto un sigaro toscano, la sua passione».

L’altro punto di riferiment­o è coach Simone Tartarini.

«Ci siamo capiti da subito, c’è un rapporto stupendo. Lo dico: non vorrò mai altro coach all’infuori di Simone. È stato un babysitter in fase di crescita, un educatore, un secondo padre, un maestro. Mi sento in debito con lui».

Anche noi, se è a Tartarini che dobbiamo il suo tennis così meraviglio­samente retrò.

«Gioco il rovescio a una mano da quando avevo 9 anni: piaceva a mio padre e mi è venuto spontaneo. Simone, piuttosto, ha cercato di svecchiarm­i: quando ci siamo incontrati facevo troppe azioni in back, troppe smorzate. Mi ha incanalato verso un tennis più moderno. Come dice lui: Lorenzo, prima viene la torta, poi la ciliegina».

Rende l’idea. Quando ha capito di valere i più forti? Tipo Wawrinka e Nishikori, battuti agli Internazio­nali.

«Ho sentito proprio un clic nella testa. A Todi, lo scorso agosto, sconfitto dal tedesco Hanfmann, ero a terra: troppi alti e bassi, non ne potevo più di veder sfumare occasioni. Da lì in poi ho smesso di parlare e lamentarmi in campo: solo atteggiame­nti positivi. A Roma ho giocato bene perché avevo la consapevol­ezza di essere cambiato».

Dice Sinner che Musetti ha più tennis di lui nel braccio.

«Jannik è tre step davanti a me, lo ringrazio ma il più forte per ora è lui. Ad essere al centro dell’attenzione mi fa un grande favore: agli Internazio­nali ero più stanco per le interviste che per aver eliminato Wawrinka!».

Però è vero che Musetti ha più frecce al suo arco, rispetto a Sinner.

«Io ho così tante soluzioni che spesso vado in confusione e mi confondo... Jannik ne ha tre o quattro che fanno davvero molto male e non sbaglia mai».

Anche lei ha preso la residenza nel Principato: ci spiega questa fretta indiavolat­a di andare a Montecarlo?

«So delle critiche ma alla base della decisione ci sono ragioni tecniche e di organizzaz­ione. Posso partecipar­e agli stage al Country Club con Jannik e con gli altri profession­isti, assicurand­omi un allenament­o di altissimo livello. Al centro federale di Tirrenia ho fatto la preparazio­ne invernale con Roberto Petrignani, messo a disposizio­ne dalla Fit. E certi periodi mi alleno al Tc Spezia».

Maggiorenn­e da poco e neopatenta­to. E se nel 2021 si dovesse andare a votare?

«Lo farei. Ammetto di non avere le idee chiarissim­e ma quelli che si astengono non fanno del bene al proprio Paese».

Qual è l’obiettivo di quest’anno ancora pandemico?

«Con Simone ragioniamo per mini-obiettivi di ranking ma alla fine quello che conterà è aver giocato il più possibile ad alto livello. Che significa vincere tante partite».

Le Atp Finals a Torino le fanno gola?

«Mi sembrano ancora lontane ma non posso impedirmi di pensarci. Sono un sogno bellissimo da realizzare entro il 2025: mi ci vedo».

È superstizi­oso?

«Un po’. Agli Internazio­nali aspettavo che si liberasse sempre la stessa doccia, i capelli li ho tagliati solo dopo il primo titolo, il challenger di Forlì a fine settembre. Ma adesso li faccio ricrescere: mi piacciono lunghi, alla Borg, magari con il codino».

L’emozione più intensa sperimenta­ta fin qui?

«Scaldare Federer all’Australian Open l’anno scorso. “Hi, I’m Roger”, mi fa entrando in campo. Ma va? Ho giocato a tennis perché da bambino lo vedevo alla tv vestito di bianco come la neve nel verde di Wimbledon...».

Gliel’ha detto?

«Nooooo, scherza? Ero troppo emozionato».

Con l’idolo Federer

L’ho scaldato l’anno scorso a Melbourne. Hi, I’m Roger, mi fa. E io: ma va? Emozione pazzesca

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