«Report» e la trattativa Stato-mafia, un argomento spinoso
Una puntata così non può restare senza conseguenze. O le ricostruzioni fatte da Paolo Mondani e Giorgio Mottola sono vere, e allora la magistratura dovrà intervenire al più presto (principio dell’obbligatorietà dell’azione penale), oppure è necessario un ripensamento su questo tipo di inchieste, soprattutto da parte del servizio pubblico. Immagino, invece che non succederà nulla, as usual.
«Report» di Sigfrido Ranucci ha dedicato una puntata speciale alla trattativa Stato-mafia, alle stragi del 1992 e quelle del 1993 per cui sono indagati dalla Procura di Firenze anche Silvio Berlusconi
e Marcello Dell’Utri (Rai3). Mondani e Mottola hanno tracciato una mappa per descrivere le «deviazioni» dello Stato nella stagione stragista e ciò che successivamente è emerso nelle inchieste sulla cosiddetta «trattativa» fra pezzi dello stesso Stato e la mafia. Hanno mosso pesanti accuse: un filo nero collegherebbe l’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 alle bombe di Capaci e via D’Amelio in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mafia, massoneria, P2 (con gli iscritti famosi?), terroristi di destra e servizi segreti deviati hanno contribuito per anni ad organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel Paese. È un argomento spinoso e difficile, anche perché ci sono delle sentenze (non ultima quella che riguarda l’assoluzione di Calogero Mannino) che disegnano un quadro differente da quello raffigurato da «Report» e che escludono il famigerato patto fra lo Stato e la mafia.
Si può dar credito a Salvatore Baiardo, che ha favorito la latitanza dei fratelli Graviano che, dopo pochi anni di carcere, è libero? Si può dare così poco spazio a Mannino? I collaboratori di giustizia sono una fonte sicura di verità? Per sconfiggere il male è giusto trattare o fare del moralismo? Sono domande che aspettano una risposta.