Corriere della Sera

«Scelta sacrosanta: inutile e autolesion­ista chiedersi se produrrà effetti negativi»

Il dibattito sulle scelte della piattaform­a. Cohen: una società privata fa quello che vuole. Floridi: serve più responsabi­lità

- Andrea Marinelli

«I social media hanno il diritto di espellere chi vogliono», sostiene lo scrittore americano Joshua Coheh. «Di recente la Corte Suprema ha stabilito che una pasticceri­a aveva il diritto di non preparare una torta di nozze a una coppia gay», spiega al telefono da Brooklyn. «Negli Stati Uniti quindi è legale negare un servizio a qualcuno che non approvi, e dobbiamo tenerne conto prima ancora di parlare della pubblica sicurezza: questo Paese ha già legalizzat­o forme di discrimina­zione. Twitter è una società privata e ha la facoltà di decidere chi può far parte della sua piattaform­a».

C’è chi dice che hanno agito tardi.

«È vero, e ora non possono fingersi integri: mi ricorda una mia zia che non voleva chiedere il divorzio al marito malato di cancro, ma siccome non si decideva a morire alla fine lo lasciò poco prima che succedesse».

Non crede però che gli elettori abbiano il diritto di conoscere cosa pensa il presidente, o un candidato?

«Ci sono molti modi per saperlo, Twitter non è l’unico, e neanche quello migliore: è ridicolo pensare che serva il canale di un’azienda privata che ti limita a un certo numeri di caratteri».

L’espulsione potrebbe rendere i suoi fan ancora più arrabbiati, o trasformar­lo in una vittima politica?

«Non penso ci sia bisogno, ci riesce benissimo da solo. Non bisogna pensare agli effetti negativi di un’azione giusta. Tutti noi che ci troviamo alla sinistra di Trump abbiamo un problema: abbiamo sempre paura che fare la cosa giusta possa causare altri problemi, e credo sia la filosofia più autolesion­ista che si possa avere».

Queste elezioni hanno cambiato le regole di Internet?

«No. Le grandi aziende tech hanno il potere enorme di sospendere il canale di un politico. Sarebbe un problema se ne chiudesser­o uno che fa informazio­ne, ma in questo caso stanno sempliceme­nte silenziand­o la pubblicità che hai deciso di seguire, o che un algoritmo ha scelto per te. Non mi sembra un problema».

Dovremmo stabilire nuovi confini per la libertà di parola?

«Negli Stati Uniti la libertà di parola rispondeva alla domanda “possiamo dire la verità al potere?”. Ora la questione è: “vogliamo farlo?”. Gran parte delle persone che diffondono le teorie cospirativ­e sa che queste si basano su informazio­ni false: non ne fanno una questione politica, ma di intratteni­mento. Un po’ come gli eventi del 6 gennaio: non era un colpo di Stato, ma un circo. Sembrava di essere al Burning Man. Il problema non è la libertà di parola, perché in quel caso saremmo d’accordo su cosa è vero, ma sapremmo che non possiamo dirlo perché verremmo censurati e puniti. In questo caso, invece, tutti sanno che si tratta di informazio­ni false, ma il valore della verità non interessa a nessuno. Interessa solo l’intratteni­mento».

Come ne possiamo uscire?

«Per guarire dall’era Trump dobbiamo prendere uno scalpello ed eliminare tutti quegli elementi in cui la politica è diventata intratteni­mento».

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Contestazi­oni La folla a un comizio di sostenitor­i del presidente uscente Donald Trump, il 6 gennaio, per contestare la legittimit­à del voto di novembre. Poco dopo è scattato l’assalto al Congresso

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