E i dem accelerano l’impeachment-lampo (guardando al 2024)
Tempi strettissimi e consenso dei repubblicani incerto: ma il voto potrebbe pesare anche dopo il 20 gennaio
I democratici vanno avanti a passo di carica verso il secondo impeachment di Donald Trump. La procedura verrà aperta domani alla Camera con la presentazione di un atto d’accusa per «incitamento all’insurrezione» basato su un unico articolo. Esaminato martedì nelle commissioni parlamentari, l’impeachment, già firmato da oltre la metà dei deputati del partito di Biden, potrebbe essere votato mercoledì dall’aula: stavolta i fatti sono tutti noti, non servono lunghe indagini. A quel punto toccherà al Senato (guidato ancora per qualche giorno dal repubblicano Mitch McConnell) costituirsi come tribunale che dovrà processare il presidente uscente ed emettere la sua sentenza. La condanna di Trump richiede 67 voti, i due terzi del Senato.
McConnell, che ha rotto i ponti con Trump ma vorrebbe evitare un altro scontro traumatico per i repubblicani, prende tempo: non intende convocare il Senato prima del 19 gennaio, il giorno in cui il tycoon lascerà la Casa Bianca nella quale il giorno dopo si insedierà Joe Biden. Che senso ha, allora, l’impeachment? C’è il valore politico del marchio impresso su Trump: l’unico presidente della storia americana ad essere stato messo per due volte in stato d’accusa. C’è, poi, il tentativo della speaker della Camera, Nancy Pelosi, di spingere il vicepresidente, Mike Pence, e i ministri del governo a interdire Trump per incapacità in base al 25esimo Emendamento della Costituzione. Pence, che ha rotto anche lui i rapporti col presidente, non farà questo passo, anche se la cosa è stata discussa più volte tra i membri del governo.
La sensazione è quella di un’attesa «vigilante»: il segretario di Stato, Mike Pompeo, diffonde via Twitter messaggi rassicuranti e l’immagine di una riunione tra lui, il capo dei servizi segreti e il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca Robert O’Brien, forse l’ultimo «adulto» rimasto a fianco del presidente. Niente ricorso al 25esimo Emendamento, a meno che Trump non compia altri atti gravi in termini di sicurezza. In quel caso potrebbe scattare l’interdizione, anche senza la ratifica immediata del Parlamento (la legge prevede il voto delle Camere ma in un lasso di tempo — 25 giorni — che va oltre la scadenza del mandato del leader repubblicano).
Dunque impeachment: una procedura che continuerà anche dopo l’uscita di Trump dalla Casa Bianca perché una condanna comporterebbe non solo la perdita di un incarico ormai comunque scaduto, ma anche il divieto, per The Donald, di ricandidarsi in futuro a cariche pubbliche. Quindi niente ricandidatura nel 2024 per la Casa Bianca. Per questa pena accessoria, la disqualification, è necessario un secondo voto, ma qui basta la maggioranza semplice che i democratici hanno nel nuovo Senato.
Ma ci sono due problemi. In primo luogo bisogna chiedersi se è possibile che almeno 17 senatori di destra votino la condanna di un presidente che hanno appoggiato fino a ieri. A parte tre o quattro dissidenti — Mitt Romney, Ben Sasse, Lisa Murkowski e, forse, Susan Collins — oggi la condanna appare improbabile. Improbabile ma non impossibile perché sono molti gli esponenti repubblicani che non vogliono restare legati a Trump per altri quattro anni, soprattutto ora che pare uscito di senno. Fin qui non hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto per timore delle reazioni brutali del suo popolo in un clima che si sta facendo sempre più teso: basta vedere le immagini dei senatori Romney e Graham insultati da decine di fan del presidente in aeroporto e a bordo di aerei. Ma mai dire mai.
L’altro problema riguarda Biden. Il nuovo leader dice che rispetta la separazione dei poteri: l’impeachment riguarda il Parlamento, non l’Esecutivo. Ma sul piano politico e informativo un processo a Trump oscurerebbe i primi, essenziali, 100 giorni della sua presidenza.
«Incitamento»
La procedura per istigazione alla rivolta verrà presentata domani alla Camera