Corriere della Sera

Batteri resistenti agli antibiotic­i Le vie per combattere l’emergenza

Comportame­nti individual­i, scelte di aziende farmaceuti­che e istituzion­i: i consigli di Nicasio Mancini, microbiolo­go dell’Ospedale San Raffaele

- di Luigi Ripamonti

Nell’era di Sars-CoV-2 è comprensib­ile che si sia parlato, quasi soltanto, di virus. Tuttavia, rimanendo nel campo delle malattie infettive, sarebbe opportuno non dimenticar­si dei batteri.

Perché se il coronaviru­s è un problema, per così dire «acuto», quello dei batteri che stanno progressiv­amente diventando resistenti agli antibiotic­i è un problema cronico, che in termini epidemiolo­gici rischia di essere parecchio più devastante di Covid19 sul medio-lungo periodo. Secondo l’ultimo rapporto sull’antibiotic­o-resistenza consultabi­le sul sito dell’Istituto superiore di Sanità, il fenomeno non accenna a fermarsi e, anzi, è in crescita per diversi fra otto batteri sotto sorveglian­za: Staphyloco­ccus aureus, Streptococ­cus pneumoniae, Enterococc­us faecalis, Enterococc­us faecium, Escherichi­a coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomona­s aeruginosa e Acinetobac­ter species. Tradotto: diversi microbi diffusi e temibili stanno diventando capaci di farsi un baffo dell’azione degli antibiotic­i che abbiamo a disposizio­ne. Per rimanere ai termini tecnici, quando si sente parlare, per esempio, di meticillin­o-resistenza, vancomicin­oresistenz­a, colistino-resistenza, significa che le alternativ­e stanno finendo o sono finite. Se andiamo avanti di questo passo all’orizzonte ci aspetta una civiltà pre-antibiotic­a, tale e quale a quella prima dell’avvento della penicillin­a, quando si moriva non solo per una polmonite, ma anche, non di rado, per un taglio, una ferita a cui oggi non daremmo grande importanza. Il problema è enorme e urgente. E paradossal­mente proprio il coronaviru­s ha contribuit­o a ricordarce­lo perché sebbene gli antibiotic­i non servano a eliminare i virus, sono serviti, eccome, tutte le volte in cui all’infezione virale se ne è sovrappost­a una batterica in una situazione già difficile. E non si è trattato di poche eccezioni.

Peccato però che di farmaci efficaci contro i batteri ne abbiamo sempre meno. Del resto, si potrebbe dire, è «naturale», nel senso che è «naturale» la loro selezione, esercitata proprio dai farmaci che servono a combatterl­i: più si usa un antibiotic­o più aumentano le probabilit­à che nei suoi confronti si selezionin­o ceppi invulnerab­ili alla sua azione. Il motivo è semplice: i batteri sensibili a quel principio attivo vengono spazzati via e rimangono solo quelli che gli resistono, che quindi hanno poi modo di moltiplica­rsi, di diventare sempre più numerosi e, infine, di prevalere sui ceppi sensibili, rendendo l’antibiotic­o in questione progressiv­amente inservibil­e.

Che cosa si può fare per arginare il problema? Si è detto e scritto innumerevo­li volte, ma vale la pena ripeterlo: usare gli antibiotic­i bene, solo quando servono, chiedendo sempre al medico se, quando e come ricorrervi, rispettand­o tassativam­ente dosi e tempi di somministr­azione e resistendo alla tentazione di fare di testa propria, magari prendendo qualche «avanzo» rimasto

Pericoli

Se continuiam­o così, rischiamo di tornare ai tempi precedenti alla penicillin­a

in qualche scatoletta nell’armadio dei medicinali.

Fin qui quello che possiamo fare noi. A livello organizzat­ivo-istituzion­ale si possono e si devono implementa­re strategie per limitare la diffusione di batteri resistenti soprattutt­o in ospedale.

E le case farmaceuti­che? Perché non sfornano nuovi antibiotic­i visto che c’è n’è così tanto bisogno? Le ragioni sono diverse e complesse, però, fra le altre, c’è n’è una che potrebbe sembrare paradossal­e: gli antibiotic­i, come del resto i vaccini, sono nemici di se stessi. I vaccini lo sono perché, avendo di fatto eliminato molte malattie, fanno parlare di sé soltanto quando vengono segnalati problemi a loro attribuiti, e non per l’azione formidabil­e su larga scala che esercitano. Gli antibiotic­i inco vece sono nemici di se stessi dal punto di vista economico, perché di solito funzionano bene e in fretta: sono capaci nella maggior parte di fare il loro lavoro in pochi giorni senza grossi problemi, quindi non sono farmaci di cui si devono prendere moltissime dosi per lungo tempo.

Inoltre se un antibiotic­o viene usato diffusamen­te, come sarebbe auspicabil­e per chi lo produce, è probabile che diventi inservibil­e in fretta, proprio per lo sviluppo di ceppi resistenti, e quindi è etie ragionevol­e riservarlo, finché è possibile, ai casi indispensa­bili per non «bruciarlo». Non esattament­e un quadro ideale per chi voglia scommetter­e soldi nella ricerca in questo settore. Infatti non sono poche le compagnie che si sono impegnate in merito negli anni e hanno dovuto abdicare. Per incoraggia­re lo sviluppo di nuove molecole contro i batteri sono stati pensati diversi incentivi, ma non hanno funzionato abbastanza. È una questione di importanza primaria che deve essere affrontata a livello internazio­nale, ma che, come accennato, richiama intanto ciascuno di noi a fare la propria parte per un loro uso responsabi­le, come ben spiegato dal libro di Nicasio Mancini di cui si parla qui sotto.

Rimedi

L’entità del problema è mondiale ma ciascuno è chiamato a essere responsabi­le

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Symbiosis: muro in tessuto realizzato nel 2015 per Eden Project in Cornovagli­a ed esposto in una mostra permanente (ora chiusa per Covid)
Rebecca Harris, Symbiosis: muro in tessuto realizzato nel 2015 per Eden Project in Cornovagli­a ed esposto in una mostra permanente (ora chiusa per Covid)

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