DUE PROPOSTE PER NON PERDERE LA GENERAZIONE DEI VENTENNI
Caro Aldo, sono una studentessa di Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano e frequento il terzo anno. In questo periodo di Covid sento sempre parlare di diritti (diritto alla salute individuale e alla salute collettiva relativamente al vaccino, diritto alla privacy per la questione dell’autocertificazione ecc..), ma non ho mai sentito parlare di diritto allo studio soprattutto in relazione alle università. In due anni e mezzo di università ho potuto frequentare in presenza un anno e mezzo. Nell’ultimo anno ho seguito le lezioni online a casa con tutte le difficoltà connesse. Il diritto allo studio, inteso come diritto di noi ragazzi a una formazione completa che ci possa lanciare nel mondo del lavoro, dove è finito? Alessandra Cara Alessandra,
La capisco. Anche mia figlia fa il terzo anno di università, a Berlino; e anche la Humboldt è chiusa. Suo fratello è rimasto in Italia, ed è nelle stesse condizioni. Non credo che il coinvolgimento personale mi condizioni nel dirle che lei, gentile Alessandra, ha perfettamente ragione. Degli studenti universitari non si occupa nessuno. Eppure la vostra generazione è forse quella che paga le conseguenze più gravi di questa pandemia. Certo, gli anziani muoiono, e vanno protetti. Ma dobbiamo ricordarci anche del prezzo altissimo imposto anche agli adolescenti e ai ventenni. Proprio nel momento in cui si affacciano sul mondo, in cui cercano i fidanzati e gli amici della vita, in cui dovrebbero fare i primi stage e le prime esperienze di lavoro, trovano tutto chiuso. Nessuno assume, nessuno consente ai ragazzi di fare pratica, di formarsi, di esercitarsi, di mettersi alla prova. Magari fosse solo un problema di happy hour e apericena, come qualcuno ironizza; è un disastro sociale ed economico. Siccome lamentarsi non basta, provo ad avanzare due proposte.
Perché non partire con il vaccino contemporaneamente dai grandi vecchi e dai giovani? Dagli over 80 e dalla fascia tra i 14 e i 25 anni, che così potrebbe tornare a scuola, al liceo, all’istituto tecnico, all’università? E perché non pensare a un piano di avviamento al lavoro, anche al lavoro tecnico, anche al lavoro fatto con le mani? Borse di studio, stage, esperienze nella pubblica amministrazione, nelle aziende pubbliche e private, nei cantieri, nelle sedi diplomatiche, negli enti pubblici. Anche senza stipendio; basta dare a questi ragazzi una prospettiva.