La vertigine della scomparsa
Romanzi L’autrice torna a ispirarsi a un fatto di cronaca che la sfiorò. Ma stavolta accade a Roma. La nuova storia da giovedì 14 per HarperCollins
Antonella Lattanzi racconta la sparizione di una bambina ma anche i desideri inconfessati di una donna. E di una famiglia
Èun piccolo braccialetto rosso al polso di una bambina la cerniera tra la realtà e la finzione in Questo giorno che incombe, nuovo romanzo di Antonella Lattanzi (in uscita il 14 gennaio da HarperCollins), che deve il suo titolo a un verso del Giulio Cesare di Shakespeare.
Se nel libro d’esordio, Devozione (Einaudi Stile libero, 2010), la scrittrice raccontava, con uno stile mimetico, la storia di due tossici calandosi nell’universo, anche psicologico, dei moderni eroinomani, nel secondo, Prima che tu mi tradisca (Einaudi Stile libero, 2013), si accomodava in una famiglia di Bari, concentrandosi sul complesso rapporto tra due sorelle e sulla improvvisa sparizione della maggiore, Angela.
Il nuovo libro, pur nella assoluta diversità di ambientazione e stile di scrittura, sembra germinato proprio da quel precedente. Anche qui c’è una famiglia composta da padre, madre e due sorelle, una delle quali si chiama Angela. Anche qui una sparizione, non Angela, ma la sua amichetta Teresa, una bambina di sette anni che vive nello stesso condominio romano dove Francesca e il marito Massimo si sono trasferiti con le figlie, convinti di potervi trovare la felicità. È in mezzo al verde, tutti si conoscono, il custode veglia sui bambini mentre la moglie ramazza, ci si incontra in cortile. Insomma, un giardino, anzi Il giardino di Roma, come si chiama il complesso dove non ci sono negozi o locali, ma solo alberi e strade che hanno nomi di cantanti e attori.
L’interesse (l’ossessione?) di Antonella Lattanzi per la sparizione di una bambina ha la sua radice in un fatto di cronaca non semplicemente letto o sentito. La scrittrice lo spiega in una nota iniziale, dove sembrano fondersi elementi reali e fiction. Il riferimento a quello che chiama «l’incidente», di cui ha sentito parlare quando era bambina: «Era successo nel nostro condominio. Nel nostro palazzo. Io ero troppo piccola per capire. Avevo otto mesi. Anche mia sorella era troppo piccola. Aveva quattro anni. Però, che qualcosa non andava lì lo capimmo molto presto». In quel palazzo di Bari dove la bambina Antonella viveva con la famiglia non si poteva scendere in cortile a giocare da soli, nessu
Con marito e figlie Francesca si trasferisce in un condominio con giardino. Ma quella casa si rivelerà una minaccia
no poteva andare a scuola se non accompagnato da un adulto, benché l’istituto fosse a pochi metri di distanza: «Vedevo chiaramente che c’erano mogli che non si fidavano a lasciare i figli coi mariti, o mariti che non lasciavano mai soli i figli con le mogli. Lo vedevo io. Lo vedeva mia sorella. Vedevamo tutto insieme, al tempo. Era impossibile non vederlo. Ma io e mia sorella non ci chiedevamo perché. Eravamo praticamente nate lì».
Quell’inquietudine, quel senso di pericolo è ciò che Lattanzi riesce a infiltrare nel romanzo, pagina dopo pagina. Se la scomparsa è il cuore della storia, l’evento che ne determina il passo narrativo, la suspense è ciò che lo governa, in una sorta di delitto della camera chiusa dove tutti sono potenzialmente sospetti. Teresa gioca in cortile con gli altri bambini, il portiere la perde d’occhio per pochi minuti, il nonno che l’aspetta in casa viene distratto da una telefonata, il cancello rimane sempre chiuso. Due rampe di scale e la bambina sparisce. Ma le ha salite davvero quelle scale?
Francesca è il personaggio attraverso cui Lattanzi filtra ogni sguardo a cominciare dall’evolversi del suo rapporto con il marito Massimo, sempre più preso dal lavoro e dal successo, mentre lei, che ha lasciato una carriera ben avviata di grafica editoriale per fare la madre e dedicarsi a un libro da scrivere e illustrare, non riesce a tenere insieme le cose. L’idillio del Giardino dura poco: «In realtà le giornate erano sempre uguali l’una all’altra, l’una dopo l’altra. Non era proprio come l’aveva immaginata questa nuova vita libera a Roma». Vuoti di memoria, paure improvvise, sbalzi di umore e scatti di rabbia iniziano a perseguitarla.
La casa, a cui la scrittrice attribuisce un respiro e una voce, la attira e respinge, la consola e la minaccia diventando a sua volta un personaggio in un gioco di ruoli che serve a rivelare bisogni inconfessati, desideri repressi, insoddisfazioni e sospetti che vengono a galla quando tutto si rompe, dentro e fuori Francesca: «L’amore c’è e poi si dimentica di esserci, come chi ha perso la memoria anche solo per un attimo».
Lattanzi mette in campo lo stesso amalgama di scrittura affilata, trama incalzante, capacità di osservare interni familiari danneggiati di cui ha dato prova anche in Una storia nera (Mondadori, 2017) e getta una luce illuminante e realistica sul lato grigio della maternità, sulle ambiguità e le contraddizioni di qualunque scelta, anche quelle che apparentemente sembrano le più pacificate.