Corriere della Sera

Testimonia­nze

L’ex presidente del Consiglio regionale della Toscana interviene sul tema sollevato dal «Corriere» Bartali aiutò gli ebrei, ecco due prove tangibili

- Riccardo Nencini

Nell’amicizia con Gino Bartali mi è stato di aiuto il cognome: Nencini. Zio Gastone, il ciclista, ereditò i tifosi di Gino fin dal 1953, quando la carriera di Bartali finì e iniziò l’attività profession­istica di Gastone.

Gino era di casa, negli anni Novanta si strinse un bel rapporto tra noi, il nonno con il nipote. Non mi confessò mai quanto aveva fatto per mettere in salvo gli ebrei a partire dal 1944. Me ne parlò invece, subito dopo la morte del padre, il figlio Andrea. Con pudore e senza appendere striscioni alla finestra. Il babbo ha fatto quel che era giusto fare, mi disse. Odiava vantarsene.

Inutile girarci intorno: la cosa destò attenzione, curiosità. Ero stato da poco eletto presidente del Consiglio regionale della Toscana, stavamo lavorando a un progetto sull’identità della regione e quella storia andava approfondi­ta. Siamo all’inizio degli anni Duemila, il 2002, forse il 2003. Con un giornalist­a de «La Nazione», Maurizio Naldini, che aveva affrontato la questione con monsignor Villani, il prelato fiorentino deputato a occuparsi della beatificaz­ione del cardinale Elia Dalla Costa, andammo ad Assisi e al Convento di San Quirico trovammo la conferma di quanto Andrea Bartali mi aveva confidato. La madre superiora ricordava ancora quanto la badessa del monastero negli anni della guerra aveva trasmesso perché la memoria si mantenesse viva. Un uomo in pantalonci­ni corti, le gambe abbronzate da ciclista, che di tanto in tanto frequentav­a il convento. Le suore lo vedevano da una finestra a taglio che aprivano quando offrivano un piatto di minestra ai poveri. Eccolo là, Gino Bartali.

C’è dell’altro. Non appena la notizia fu di dominio pubblico — ne parlarono un paio di quotidiani — mi chiese un appuntamen­to un signore dello studio Ventura, un avvocato. Fu lui a mostrarmi un documento d’identità — non ricordo se fosse stato della madre o di altra parente — che proprio Gino Bartali aveva riportato da Assisi debitament­e contraffat­to. I Ventura sono ebrei. Grazie a quel documento si salvarono.

Due prove tangibili, dunque, toccate con mano assieme alla testimonia­nza del figlio Andrea. Troppo poco?

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