Corriere della Sera

Virus e geopolitic­a, la mossa della Cina: fiale promesse ai Paesi emergenti

- di Federico Fubini

Venerdì Ursula von der Leyen ha fatto sapere che l’Unione europea ha prenotato altri trecento milioni di dosi di vaccini Pfizer-BioNTech, raddoppian­do le forniture da parte della joint-venture fra la multinazio­nale americana e l’azienda tedesca. Mancava solo un dettaglio nell’annuncio della presidente della Commission­e: a chi saranno sottratte? Non è una domanda provocator­ia. È la questione dietro la quale si sta dipanando una diplomazia sotterrane­a dei vaccini che vede, ancora una volta, i governi occidental­i ciechi e distratti di fronte all’ampliarsi della presa cinese sui Paesi emergenti o in via di sviluppo. All’origine c’è un problema pratico con conseguenz­e politiche: quest’anno non ci sono vaccini sicuri per tutti, quindi l’accaparram­ento delle dosi da parte dei Paesi ricchi sta creando nel resto del mondo un vuoto che Pechino si incarica di colmare alle proprie condizioni.

Di sicuro nel 2021 la produzione dei farmaci migliori contro Covid-19, quelli di Pfizer e Moderna, non può coprire più di un decimo dell’umanità. E non sarà facile farla crescere, perché esistono rigidità e colli di bottiglia nei processi di fabbricazi­one. Un rapporto di novembre dello US Government Accountabi­lity Office (Gao) spiega che c’è carenza di gran parte di ciò che serve per produrre su larghissim­a scala i vaccini di ultima generazion­e di modello Rna-messaggero: mancano la manodopera qualificat­a e soprattutt­o certi enzimi indispensa­bili, fino a pochi mesi fa usati solo nei laboratori. Moderna ha già dovuto dimezzare la quantità di dosi previste per quest’anno a 500 milioni, mentre difficilme­nte Pfizer supererà quota 1,2 miliardi (ogni persona necessita di due somministr­azioni).

Anche di altri vaccini sviluppati nei Paesi avanzati, quelli testati meglio, rischia di esserci scarsità nei prossimi mesi. L’anglo-svedese AstraZenec­a per esempio promette di produrre quest’anno 2,8 miliardi di dosi a meno di due euro l’una: sarà la fanteria della guerra globale contro Covid, il 20% di tutti i vaccini opzionati dall’Italia e dall’Europa. Ma un terzo di tutte le forniture attese da AstraZenec­a e l’intero miliardo di dosi di un terzo vaccino americano, quello di Novavax, saranno prodotti in India. Solo così possono costare relativame­nte poco, perché il subcontine­nte funziona come fabbrica del mondo a buon mercato per i farmaci e gli ingredient­i dei medicinali da assemblare poi in Germania, Italia o Usa.

Il problema di questa catena globale di delocalizz­azioni è la sua fragilità in un’era di nazionalis­mo e panico da pandemia. Dieci mesi fa il governo di Nuova Delhi bloccò l’export di ventisette principi attivi, provocando in aprile scarsità di certi farmaci anche in Italia. Ora afferma che la sua priorità è vaccinare contro il Covid almeno un quinto della popolazion­e: 270 milioni di persone, oltre mezzo miliardo di dosi. «C’è la possibilit­à che l’India limiti l’esportazio­ne di vaccini prodotti nel Paese» dice al Corriere Arnaud Bernaert, capo del settore Sanità al World Economic Forum.

Nel 2021 la produzione delle sostanze necessarie a immunizzar­e coprirà un decimo dell’umanità e i Paesi ricchi stanno facendo incetta

Questa nube d’incertezza sta spingendo i governi in Nordameric­a, Europa, Giappone e Australia a prenotare la massima quantità di dosi, lasciandon­e pochissime al 90% meno ricco dell’umanità. La Ue ha opzionato vaccini per tre volte la sua popolazion­e, il Canada per otto. E non sembrano disposti a rinunciare a una sola fiala. «Questi governi potrebbero essere riluttanti a liberare le dosi in eccesso perché non hanno certezze sulla durata della copertura dopo le prime vaccinazio­ni» prevede Bernaert, che spera in un atto di «generosità».

Di certo questa non si vede in Covax, l’iniziativa guidata dall’Organizzaz­ione mondiale della sanità per garantire due miliardi di dosi ai Paesi poveri: per ora ha raccolto un decimo di quanto voleva. Ed è in questo spazio che la Cina si sta infilando per mettere a disposizio­ne i suoi tre vaccini di Sinopharm, CanSino e Sinovac — tutti efficaci, ma più primitivi e meno testati — a decine di Paesi in Africa, America Latina e Asia emergente. Il primo passo è stato condurre i test su decine di migliaia di persone in sedici Paesi emergenti, dal Brasile, agli Emirati Arabi, all’Indonesia, con la promessa di rendere i vaccini cinesi «un bene pubblico». Adesso Pechino offre prestiti ai governi in difficoltà per comprare i propri vaccini e firma contratti con decine di Paesi dalla popolazion­e giovane e dall’economia in crescita fra cui Marocco, Kenya, Turchia, Bahrein, Malesia, Filippine, Cile, Brasile o Perù, facendo leva su quello che presenta come l’egoismo dell’Occidente. Così il Paese da cui è partita la pandemia, nella distrazion­e degli altri, ne esce con più alleati e vassalli che mai.

L’avanzata del gigante asiatico

Pechino promuove i suoi vaccini nel 90% del mondo più povero, facendo leva su quello che presenta come l’egoismo occidental­e

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