Corriere della Sera

«Ci sono i testimoni Bartali aiutò gli ebrei»

Della Pergola: dubitare che abbia rischiato la vita per gli ebrei è come negare che la Terra sia rotonda

- di Gian Antonio Stella

Parla il demografo che ha fatto parte della commission­e del Museo della Shoah. «Risulta che il campione italiano si prodigò per almeno una trentina di persone. Mi pare che qualcuno voglia delegittim­are Yad Vashem»

«Mettere in dubbio che Gino Bartali abbia rischiato la vita per salvare degli ebrei è come negare che la Terra sia rotonda». Nel pieno delle polemiche intorno all’insufficie­nza di documentaz­ione sul ruolo del campione riconosciu­to come Giusto tra le nazioni, insufficie­nza denunciata nel libro L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggi­o degli ebrei: una storia inventata (Castelvecc­hi), scritto dagli storici Marco e Stefano Pivato, Sergio Della Pergola va giù durissimo. Dice che no, non può parlare a nome dello Yad Vashem: «Posso parlare solo come un ricercator­e che conosce la materia e fa parte della commission­e che si occupò dell’istruttori­a. Io li conosco, i documenti su Bartali».

Nato a Trieste nel 1942 da famiglia ebraica, laureato a Pavia, emigrato nel 1966 in Israele, sposato con la figlia del rabbino Elio Toaff, celebre come un grande della demografia mondiale, studioso dell’antisemiti­smo, autore di decine di libri, si è spinto a dire al nostro «Corriere fiorentino»: «È necessario spazzare il terreno da affermazio­ni vergognose, un negazionis­mo sulla figura di Bartali attraverso un discorso equivoco sulla distinzion­e tra storia e memoria lo ritengo quasi sullo stesso piano del negazionis­mo dell’Olocausto».

Il giorno dopo conferma «parola per parola». Anzi, rifiuta l’idea stessa che sia legittimo mettere a confronto le parole sue e quelle del libro in uscita: «Non sono opinioni mie contro opinioni loro. Il nostro è un istituto serissimo, che prima di spendere una parola su qualcuno deve essere certissimo dei fatti. Il professor Pivato sarà pure ordinario di Storia contempora­nea, ma se cita Edward Carr per dire che per gli storici “l’accuratezz­a è un dovere non una virtù”, allora lui non è coerente. Come fa a scrivere che quando si è “consumato il divorzio fra storia e memoria, quest’ultima ne ha preso il posto e, priva delle tutele e delle cautele dello storico, ha finito talvolta per accreditar­e come veri fatti e accadiment­i mai avvenuti”? Come fa a scrivere di “contrabban­dieri di verità”? Se si parla di Bartali, la frase è falsa: i fatti sono veri, gli accadiment­i sono avvenuti. Tutte le procedure sono state corrette».

Come fu aperto il fascicolo? «Per aprire un fascicolo (solo per aprirlo, poi può finire in una bocciatura) basta una segnalazio­ne. Può farla chiunque. Un salvatore o meglio ancora un salvato. O uno storico locale. Chiunque. Nel caso di Bartali arrivò da una docente toscana, Angelina Magnotta. Si era imbattuta nella vicenda facendo un lavoro in classe coi suoi studenti. Aveva fatto delle ricerche. Scrisse: “Ho scoperto con stupore che questo uomo non è stato ancora riconosciu­to come Giusto…”. Partì così, l’iter. C’erano testimonia­nze di salvati? Ecco la prima domanda che dovevamo porci. E qui, di testimonia­nze, ne sono emerse parecchie. A partire, com’è noto, da quella di Shlomo «Giorgio» Goldenberg, nascosto coi genitori (aveva nove anni) in uno scantinato di proprietà di Bartali in via del Bandino, a Firenze». Sicuri che fosse di Bartali? «Sì. Tutto controllat­o al catasto. Siamo persone meticolose. Pignole. Anni dopo lo stesso Goldenberg tornò Firenze e volle rivedere quello scantinato insieme con Andrea Bartali, il figlio».

Era presente alla testimonia­nza di Goldenberg in commission­e? No, spiega, «non si svolge così, come ad esempio nelle sedute davanti al Senato americano. Si presentano testi scritti. Dichiarazi­oni. Memorie. Diari. Verbali. Libri. In questo caso c’è una dichiarazi­one scritta. E così quella di una signora di Genova (il cardinale Pietro Boetto era lui pure molto attivo nell’aiuto agli ebrei) che dichiara che Bartali andava anche lì...». Andava e non andò: vuol dire più di una volta? «Non una volta o due: ripetutame­nte. Ora, che Bartali possa aver salvato ottocento ebrei potrebbe anche essere una forzatura: noi il numero non lo possiamo provare. Abbiamo documentat­o però almeno una trentina di salvati. Ci bastavano. Non abbiamo neppure avuto bisogno di andare a guardare negli archivi della Curia di Firenze. Naturalmen­te la documentaz­ione su Elia Dalla Costa è molto più completa. Enorme. Era un uomo straordina­rio. Di pura spirituali­tà. Fosse stato eletto Papa lui invece di Eugenio Pacelli sarebbe cambiato tutto. Che Bartali andasse e venisse portando documenti è fuori discussion­e. Lo confermano tra le altre le parole di Marcella Frankentha­l, il cui figlio è stato sentito anche dal “Corriere della Sera”: raccontò tutto e mostrò quattro documenti falsi avuti grazie a Bartali».

Quella chiave, insiste, «fu la deposizion­e di Sara Di Gioacchino Corcos, la cognata del rabbino Nathan Cassuto che (lo ribadì anche a me) aveva parlato di queste missioni direttamen­te con Bartali. Nella nostra comunità ci sono spesso rapporti di parentela. La stessa Sara e la sorella Anna (che finì ad Auschwitz, né tornò straziata, ma fu poi uccisa nell’attentato terroristi­co arabo del Monte Scopus nel 1948, dopo esser riuscita a trasferirs­i in Palestina e a rivedere i suoi figliolett­i salvati da una famiglia italiana non ebraica) erano prime cugine di mio padre». La registrazi­one del colloquio c’è? «No, Bartali non voleva parlare di queste cose. Acconsentì solo quando seppe che Sara, come ho detto, era cognata di Nathan Cassuto, ma a condizione di non essere registrato. Era fatto così: pensava che quello che doveva esser fatto andava fatto. Punto...»

Di più, aggiunge il commissari­o dello Yad Vashem: «C’è una storia che si incrocia con la lettera al “Corriere” di Riccardo Nencini, nipote del grande Gastone Nencini, ciclista e amico di Bartali. È la storia di Giuseppina Biviglia, altra Giusta tra le nazioni, madre superiora del convento San Quirico di Assisi. Si racconta, nel fascicolo, che un giorno arrivarono lì due fratelli triestini ebrei in fuga, Enrico e Carlo Maionica. Lei diede loro asilo. A un certo punto giunse una pattuglia di tedeschi. Madre Giuseppina disse ai due fratelli di rifugiarsi in un sotterrane­o, nella clausura. Un gesto indimentic­abile. I nazisti volevano perquisire tutto, dicevano di avere la certezza che i due ebrei fossero rifugiati lì. Lei li sfidò: “Volete violare una

Ho verificato le testimonia­nze di ebrei soccorsi dal ciclista. Alcuni dicono di avere consegnato, altri ricevuto dalle sue mani i documenti falsi

clausura? Fatelo!”. E fu così ferma e credibile che quelli lasciarono perdere». Che c’entra Bartali? «Enrico Maionica, in una testimonia­nza registrata all’archivio Spielberg che raccoglie migliaia di memorie filmate sull’Olocausto, disse che lui sapeva falsificar­e i documenti e un giorno “arrivò il ciclista e io gli diedi quello che avevo preparato”». Bartali? Chissà…

Ma certo, lo stesso Della Pergola sa che anche storici vicini come Michele Sarfatti o più recentemen­te Simon Levis Sullam («da quel che mi risulta non vi sono documenti consistent­i sul ruolo di Bartali salvatore...») hanno dubbi: possibile ci siano solo testimonia­nze? «Ma scusate, cosa ci dovrebbe essere, la bicicletta di Bartali? Il sellino sotto cui nascondeva i documenti? Quando ci sono persone che dicono, separatame­nte l’una dall’altra, “ho messo i documenti nelle mani di Bartali” e altre “ho ricevuto i documenti dalle mani di Bartali” che cos’altro dovremmo avere? Abbiamo tanti puntini: possiamo unirli e il quadro è chiarissim­o. Cos’altro vogliamo? Anche i migliori storici, se non vedono le carte, non possono capire».

Ed ecco il tema: perché lo Yad Vashem non spalanca gli archivi spazzando via i dubbi? «Personalme­nte sarei d’accordo. Parlo per me. Ma queste scelte vanno prese dall’istituzion­e. La mia opinione è che sì, più i procedimen­ti saranno trasparent­i, meglio sarà. Salvo, si intende, i protocolli dei verbali. Non tutti i Giusti erano santi. Quello che conta è ciò che hanno fatto per aiutare gli ebrei. Però…».

Però? «Però devo aggiungere una cosa: dietro questa polemica c’è dell’altro. Oltre Bartali. C’è un andazzo di contestazi­one di Yad Vashem in quanto tale. Un andazzo c’è anche negli ambienti più qualificat­i e perfino negli ambienti ebraici. Mettiamo che qualcuno pensi che la Chiesa si sia comportata malissimo con gli ebrei. Ecco, riconoscer­e che un cattolico vero, un terziario carmelitan­o come Bartali, sia stato un Giusto potrebbe infastidir­e chi ha questo schema rigido anticattol­ico». Certo, ammette, lui stesso è molto polemico su Pio XII, «ma negare che una quantità di preti e di suore, di vescovi e cardinali, cercò di aiutare gli ebrei è assurdo. Io sono un demografo, vivo di numeri. Bene: la presenza fra i Giusti italiani di uomini e donne di Chiesa è del 13 per cento. Una quota altissima. Quella che mancò, in maniera schiaccian­te, fu una direttiva centrale. Una parola pubblica del Papa. Ma non la generosità, il coraggio, a volte perfino l’incoscienz­a di cattolici che rischiaron­o la loro stessa vita per proteggere noi ebrei seguendo il loro credo. Eroi. Ma per proprio conto».

Sullo sfondo, intravede l’antico fantasma: l’antisemiti­smo. «C’è chi sostiene che questa nostra insistenza sulla memoria sia tale che “il passato europeo non riesce a passare”. Insomma, la memoria della Shoah sarebbe una “palla al piede” dell’Europa. È una forma di negazionis­mo. Lasciamo stare chi nega l’esistenza di campi di sterminio. La cosa più sottile e infida, oggi, è negare agli ebrei il diritto ad avere una “loro” memoria. Ecco, sono convinto che anche su Bartali sia così. C’è gente che contesta Yad Vashem come una realtà “targata” Israele. Che dice “gli israeliani hanno rubato la memoria della Shoah”. E questo, scusate, è inaccettab­ile».

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In alto, un’immagine del Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemm­e. Fondato nel 1953 con la Legge del memoriale, il nuovo museo è stato inaugurato nel 2005. Qui sopra: una foto del grande ciclista toscano Gino Bartali (1914-2000). Campione amatissimo, Bartali vinse in carriera tre Giri d’Italia, due Tour de France, quattro Milano-Sanremo
Il Memoriale In alto, un’immagine del Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemm­e. Fondato nel 1953 con la Legge del memoriale, il nuovo museo è stato inaugurato nel 2005. Qui sopra: una foto del grande ciclista toscano Gino Bartali (1914-2000). Campione amatissimo, Bartali vinse in carriera tre Giri d’Italia, due Tour de France, quattro Milano-Sanremo

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