UN CONFLITTO CHE RISCHIA DI COSTARE CARO ALL’ITALIA
Al momento esistono solo due quasi certezze. La prima è la volontà di evitare elezioni anticipate. La seconda è la difficoltà di sostituire l’attuale maggioranza con apporti parlamentari nella peggiore tradizione del trasformismo. Ma tra queste due piccole colonne d’Ercole può avvenire di tutto. L’impressione è che Italia viva non abbia rinunciato alla crisi di governo, seppure dando una disponibilità di massima ad approvare il Fondo per la ripresa: «per responsabilità istituzionale», sostiene, pur spargendo diffidenza su Palazzo Chigi.
Diffidenza ricambiata. I partiti alleati, M5S e Pd, non si fidano di Matteo Renzi. Continuano a temere che, una volta caduto il governo, sarebbe impossibile concordare con lui un’altra soluzione; di fatto, si aprirebbe una crisi al buio. Per questo, si chiede che, se rottura ci sarà, sia accompagnata anche dall’indicazione di una via d’uscita per limitare i danni. La vittima designata dovrebbe essere Giuseppe Conte. Ma proprio per questo il premier mostra una tranquillità magari solo ben studiata, eppure ostentata. Conte sa di essere indebolito e di rischiare.
Fino a quando la delegazione di Iv non si dimetterà, tuttavia, non farà un passo indietro nemmeno lui. L’idea è di presentarsi davanti al Parlamento, e in quella sede chiedere la conta. Confida nel fatto che Renzi non possa spingersi fino a mettere a rischio la legislatura. E che, senza Conte, la debolezza del M5S emergerebbe in modo drammatico, provocando spinte centrifughe incontrollabili. Fare quadrato intorno a Conte è l’alibi del Movimento per non rivelare le sue crepe profonde. Il premier è puntellato dalla debolezza di un grillismo che ha schiacciato Palazzo Chigi sulla sua agenda; ma ora non può che appoggiarlo.
Quanto al Pd, non vuole uscire dallo schema dell’attuale coalizione. Che cosa significhi nella prospettiva di una crisi non è ancora chiaro. L’opera di persuasione del Quirinale su Renzi avrebbe ottenuto che lo smarcamento di Iv avvenga solo dopo il voto sugli aiuti europei. Dire che questo abbia diradato i timori, però, sarebbe eccessivo. L’esecutivo rimane in bilico. E Renzi ieri ha precisato che Sergio Mattarella «è un arbitro, non si mette a dire a un dirigente politico “fai questo o quest’altro”. Suggerisco di non tirarlo per la giacchetta». Ma l’intervento del presidente della Repubblica un po’ ha cambiato lo sfondo. La ministra di Iv, Teresa Bellanova, continua a raffigurare un governo «al capolinea». Eppure, non si capisce se siano presagi di rottura o pezzi di un negoziato duro, per preparare un accordo in vista di un terzo governo Conte. Il premier si limita a additare una quasi certa impennata dei contagi, per sottolineare la distanza tra l’emergenza del Paese e gli attacchi renziani. Si tratta di una sfida rischiosa. Eppure, la sensazione è che il premier non possa e non voglia fare diversamente. Bisognerà capire a quale prezzo, per tutti.
Le uniche quasi certezze riguardano l’esigenza di escludere il voto anticipato e di arrivare a maggioranze raccogliticce