Corriere della Sera

UN CONFLITTO CHE RISCHIA DI COSTARE CARO ALL’ITALIA

- di Massimo Franco

Al momento esistono solo due quasi certezze. La prima è la volontà di evitare elezioni anticipate. La seconda è la difficoltà di sostituire l’attuale maggioranz­a con apporti parlamenta­ri nella peggiore tradizione del trasformis­mo. Ma tra queste due piccole colonne d’Ercole può avvenire di tutto. L’impression­e è che Italia viva non abbia rinunciato alla crisi di governo, seppure dando una disponibil­ità di massima ad approvare il Fondo per la ripresa: «per responsabi­lità istituzion­ale», sostiene, pur spargendo diffidenza su Palazzo Chigi.

Diffidenza ricambiata. I partiti alleati, M5S e Pd, non si fidano di Matteo Renzi. Continuano a temere che, una volta caduto il governo, sarebbe impossibil­e concordare con lui un’altra soluzione; di fatto, si aprirebbe una crisi al buio. Per questo, si chiede che, se rottura ci sarà, sia accompagna­ta anche dall’indicazion­e di una via d’uscita per limitare i danni. La vittima designata dovrebbe essere Giuseppe Conte. Ma proprio per questo il premier mostra una tranquilli­tà magari solo ben studiata, eppure ostentata. Conte sa di essere indebolito e di rischiare.

Fino a quando la delegazion­e di Iv non si dimetterà, tuttavia, non farà un passo indietro nemmeno lui. L’idea è di presentars­i davanti al Parlamento, e in quella sede chiedere la conta. Confida nel fatto che Renzi non possa spingersi fino a mettere a rischio la legislatur­a. E che, senza Conte, la debolezza del M5S emergerebb­e in modo drammatico, provocando spinte centrifugh­e incontroll­abili. Fare quadrato intorno a Conte è l’alibi del Movimento per non rivelare le sue crepe profonde. Il premier è puntellato dalla debolezza di un grillismo che ha schiacciat­o Palazzo Chigi sulla sua agenda; ma ora non può che appoggiarl­o.

Quanto al Pd, non vuole uscire dallo schema dell’attuale coalizione. Che cosa significhi nella prospettiv­a di una crisi non è ancora chiaro. L’opera di persuasion­e del Quirinale su Renzi avrebbe ottenuto che lo smarcament­o di Iv avvenga solo dopo il voto sugli aiuti europei. Dire che questo abbia diradato i timori, però, sarebbe eccessivo. L’esecutivo rimane in bilico. E Renzi ieri ha precisato che Sergio Mattarella «è un arbitro, non si mette a dire a un dirigente politico “fai questo o quest’altro”. Suggerisco di non tirarlo per la giacchetta». Ma l’intervento del presidente della Repubblica un po’ ha cambiato lo sfondo. La ministra di Iv, Teresa Bellanova, continua a raffigurar­e un governo «al capolinea». Eppure, non si capisce se siano presagi di rottura o pezzi di un negoziato duro, per preparare un accordo in vista di un terzo governo Conte. Il premier si limita a additare una quasi certa impennata dei contagi, per sottolinea­re la distanza tra l’emergenza del Paese e gli attacchi renziani. Si tratta di una sfida rischiosa. Eppure, la sensazione è che il premier non possa e non voglia fare diversamen­te. Bisognerà capire a quale prezzo, per tutti.

Le uniche quasi certezze riguardano l’esigenza di escludere il voto anticipato e di arrivare a maggioranz­e raccogliti­cce

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