Il giro di telefonate tra Di Maio, Bettini e Franceschini: mettiamo al sicuro i dossier più critici
Un giro vorticoso di telefonate. Un via vai che vede protagonisti i maggiori attori di governo: Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Dario Franceschini e Goffredo Bettini. L’obiettivo — mentre la crisi langue e c’è il rischio che si protragga — è «mettere in sicurezza il Paese». Anzitutto chiudendo i dossier a rischio. Il punto principe, quello che ha fatto da leva per frenare lo scontro nella maggioranza, è l’approvazione del Recovery plan (prima in Consiglio dei ministri, poi nelle prossime settimane in Parlamento). Ma non mancano altri temi: ci sono da portare a termine i lavori preparatori del G20, finire la preparazione del Global Health Summit (in programma a maggio a Roma) e della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (che si terrà in Scozia a novembre).
Nonostante il «congelamento» parziale delle ostilità, tra i protagonisti di governo emerge un forte scetticismo sulla situazione. «Ormai Renzi è imprevedibile, probabilmente farà cadere tutto, ma chiudiamo i dossier, perché sarà un anno tostissimo per l’esposizione dell’Italia sul piano internazionale — è quello che filtra come filo conduttore delle telefonate —. Quindi da oggi testa bassa a lavorare. Anche perché a Renzi è stato proposto di tutto, ma non ha dato garanzie in nessun modo. Poteva avere tutto, ha scelto niente».
L’accelerazione sui dossier più importanti è un «atto dovuto»: il timore — spiegano fonti di governo — è «che ci riderà dietro tutto il pianeta se staremo in campagna elettorale durante i giorni più importanti dei primi vertici internazionali».
Mentre i ministri sono impegnati con le tensioni della maggioranza, la truppa parlamentare M5S freme: molti sperano in un ricambio dei vertici. Alla Camera c’è chi è pronto a lasciare il gruppo in caso di riconferma di Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Al Senato, invece, è finito sulla graticola Vito Crimi.
Domenica l’assemblea dei senatori ha chiesto insistentemente lumi sul percorso di elezione dell’organo collegiale. C’è chi è uscito allo scoperto come Mattia Crucioli (in odore di espulsione secondo i rumors) che ha attaccato il reggente: «Non è stato votato e non rappresenta nessuno». Ma chiarimenti (per usare un eufemismo) sono stati chiesti anche, tra gli altri, da Barbara Lezzi ed Emanuele Dessì, senatore vicino a Paola Taverna. A prendere le difese (d’ufficio) del reggente — che era assente — sono stati il capogruppo Ettore Licheri e, soprattutto, il ministro Stefano Patuanelli. La riunione si è conclusa con un nulla di fatto: poche rassicurazioni e una insoddisfazione crescente nel gruppo. C’è chi è convinto: «Con il rimpasto esploderà il Movimento». Le motivazioni? «Ambizioni personali e compromessi» come — specificano molti — «accettare Maria Elena Boschi ministra». Ciò che è certo è che i malumori rischiano di diventare troppi da gestire anche per l’organo collegiale che sarà.