Toti: «Governo diviso tra rigoristi e pro aperture Così non c’è coerenza»
Il governatore: l’Rt non può essere l’unico criterio
Non è tanto — o solo — la singola misura a lasciarlo perplesso. Ma «il tema di fondo, che il governo non scioglie». E cioè, spiega Giovanni Toti, presidente della Liguria, se si intende imporre alle Regioni «uno schema rigido, all’interno del quale muoversi» visto che la pandemia non molla la presa, o se ognuno nell’esecutivo può fare un po’ ciò che vuole «per appuntarsi la medaglietta» scaricando poi sui governatori le colpe di possibili inefficienze.
Con chi ce l’ha?
«Con un modo di agire schizofrenico. Da una parte c’è il ministro Speranza che invita noi governatori alla massima prudenza, magari a ragione se davvero si teme l’arrivo di una terza ondata del virus come in Gran Bretagna o in Germania. Dall’altra c’è la variabile impazzita della ministra Azzolina che ci accusa di tener chiuse le scuole, ma anche il ministro Franceschini che pensa a riaprire i musei... Vorremmo maggiore coerenza».
Ma ha ragione chi vuole chiudere o chi vuole aprire?
«Guardi, io vorrei far tornare in presenza tutti gli studenti, gli universitari, i liceali. Ma vorrei anche capire se davvero il rischio è quello di un forte aumento dei contagi, come ci dice il governo. Se si pensa di abbassare la soglia dell’Rt che porta una regione a diventare arancione o rossa — criterio che peraltro non può essere il solo, automaticamente, a determinare il livello di gravità della situazione — allora non si può accusare noi presidenti di essere cauti con le riaperture delle scuole».
La scuola non ha la priorità su tutto?
«Attenzione agli atteggiamenti moralistici, ai birignao snobistici: questo considerare cultura e scuola come cose “alte” e lo sci, la pizza, la palestra, la birreria “basse” è superficiale e pericoloso. Dietro attività voluttuarie ci sono lavoratori, milioni di persone che mantengono famiglie. Le decisioni devono essere coerenti e collegate. Mi sta bene il principio di prudenza ma non che ognuno coltivi il proprio orticello».
La crisi pesa nei rapporti tra governo e regioni?
«Certo non aiuta: se il primo titolo dei tg è ogni giorno “allarme terza ondata Covid” e il governo parla di servizi, rimpasto, rese dei conti, siamo al grottesco. In emergenza sanitaria servono linguaggio e atteggiamenti all’altezza. Non si chiedono sacrifici drammatici ai cittadini mentre si discute di sottosegretari».
A proposito di sacrifici, quello chiesto a bar e ristoranti per vietare l’asporto dalle 18 è accettabile?
La critica
È snob considerare musei e scuola cose alte e la pizza o lo sci basse In gioco i lavoratori
«Lo trovo eccessivo, perché è vero che esiste il delivery ma è anche vero che il problema non potrà essere né il paio di ragazzi che si beve una birra — dopo aver sostenuto sacrifici per la collettività per un virus che direttamente non colpisce loro — né il padre di famiglia che la sera tornando dal lavoro passa a comprare un pollo arrosto. Anche qui, attenzione a non creare un sistema dove per il ricco è facile
farsi consegnare un catering a casa e per chi sta meno bene diventa faticoso tutto».
Come si esce dal tunnel?
«Con il vaccino, unica strada. Ma va fatta una campagna mirata. Non si può accentrare ogni cosa facendo decidere ad Arcuri, che lavora tanto e nessuno lo nega, pure la misura delle siringhe e poi prendersela con le Regioni per problemi logistici. La priorità è vaccinare al più presto tutti gli over 70. Perché proteggendo questa fascia si abbassano enormemente sia il numero di vittime sia la pressione sul sistema sanitario, e così si può far diventare il Covid una malattia che colpisce duramente chi la prende, ma che non è più l’emergenza nazionale che soffoca e uccide un intero Paese».