Basilio e gli attacchi sul web «Dopo guerra e prigionia morire non mi fa paura Ma ho voluto il vaccino»
Immunizzato a 103 anni: quando ce li hai, te li tieni
«Vogliono farmi un’intervista? E che problema c’è? Se mi fanno domande interessanti, rispondo, se no li mando a quel paese». Basilio Pompei, 103 anni, ha ancora la battuta pronta. Gli chiedi come è andato il vaccino per il Covid-19 e lui: «L’ho fatto e non me ne sono accorto». Nato nella fiorentina Pontassieve durante la Prima guerra mondiale, reduce della seconda e appena vaccinato nella Rsa Villa San Biagio a Dicomano, nel Mugello, è diventato il bersaglio di commenti odiosi sul web e sui social. Tipo «a 103 anni, facevano prima a prendergli le misure della cassa da morto» o «facciamo morire i quarantenni e vacciniamo i centenari». Basilio sta bene, parla, cammina abbastanza, ragiona molto e, soprattutto, ricorda.
Giampaolo Giannelli, vice coordinatore provinciale di Forza Italia a Firenze, è il primo che ha denunciato il linciaggio ai suoi danni, prendendosela coi «leoni da tastiera che oggi hanno la libertà di dire di tutto solo grazie a persone come Basilio, che hanno combattuto per la libertà». Dopodiché, ha chiamato l’anziano, si è presentato: «Gli ho detto che forse era stato nello stesso reggimento di mio nonno, che era di San Francesco di Pontassieve. E lui, subito: come no, Guido! Se lo ricordava e mi ha detto lui il nome». Con i suoi ricordi, Basilio ha anche scritto un libro, assieme ad altri due ex soldati, Diario di guerra e di prigionia, che ha presentato nelle scuole toscane.
Basilio, ha saputo delle critiche? Dicono che doveva lasciare il vaccino ai giovani.
«Possono dire quello che vogliono. La gente non c’è tanto da ascoltarla, che poi, un secondo dicono una cosa e il momento dopo un’altra. Io, se c’è da fare il vaccino me lo fo’, e me lo feci».
Hanno scritto anche che, se il suo sistema immunitario ha retto finora, il vaccino non le serve.
«Può essere. Io, nella vita, i vaccini che dovevo fare li ho fatti. Poi, se sto qua perché li ho fatti non lo so».
A me il vaccino non serve? Io nella vita, quelli che dovevo fare li ho fatti. Poi, se sto ancora qua perché li ho fatti, non lo so
Dopo l’8 settembre del 1943 mi catturarono e mi trovai prigioniero dei nazisti in Polonia: due anni in un campo di lavoro
Riuscii a scappare durante un bombardamento, ho camminato settimane Non mi aspettava nessuno, già mi davano per morto
In questi mesi, ha avuto paura del coronavirus?
«A me, fa ridere chi parla di paura. Nella vita si attraversano migliaia di problemi, ma quando viene il tuo giorno, serve solo il coraggio».
E lei quanti ne ha attraversati di problemi?
«Io sono nato nel 1918, c’era la guerra e mio padre era via soldato. Era l’anno della Spagnola, anche se ne ho solo sentito parlare. Però sono nato all’ospedale quando tutti nascevano in casa: mia madre era sola e stava attenta a non perdere il suo figliolo».
Come a suo padre, anche a lei toccò la guerra.
«Mi chiamarono che ero già militare. Dovevo obbedire. La guerra l’ho fatta sempre nella zona, poi i nazisti mi rastrellarono dopo l’8 settembre 1943 e mi trovai prigioniero in Polonia: due anni in un campo di lavoro, una parte a servizio di una famiglia come macellaio, il mio mestiere, mentre i miei erano venditori ambulanti di latte».
Quando ha visto la morte in faccia?
«Incontrarla era facile. Sei a fare un combattimento, vedi qualcuno che si accascia e quella è la morte. O stai in missione, corri e vedi il compagno
Nato a Pontassieve è ospite di una Rsa: «Dicano quello che vogliono, non ascolto»
a terra. Dire “quello è morto” è un attimo. C’è chi muore trucidato e chi scansa le fucilate senza vederle».
Come finì la prigionia?
«Riuscii a scappare nella confusione di un bombardamento americano. Montai su un treno, seduto fuori, sui respingenti. Quanti chilometri ho fatto così non lo so. Alla stazione, m’aiutò un capotreno. E poi, ho camminato settimane senza sapere che fine facevo. Ho viaggiato sempre, non è che ho aspettato».
A casa, chi l’aspettava?
«Nessuno, mi avevano dato per morto. Mi videro scendere da un camion davanti casa e fu una sorpresa grande».
Si è mai sposato?
«Che ero già grande. Avevo 18 anni».
Diciott’anni erano pochi pure per i suoi tempi.
«No, no. Allora, la gente si sposava e si sentiva grande. Ora si sposano a 30 anni e non è che si sentono più grandi».
Qual è la bellezza di avere 103 anni?
«Quando ce li hai, non ci pensi, te li tieni. Vita e morte sono due passaggi e quando è il mio giorno si va. Non ho mai avuto paura della morte: se uno si mette a pensarci, muore anzitempo».