Corriere della Sera

Processo al re dei diamanti: per la miniera in Guinea offrì milioni alla first lady

Beny Steinmetz sotto accusa in Svizzera: «Usò conti elvetici»

- di Sara Gandolfi

«Una vincita al Jackpot». Così il mondo finanziari­o accolse undici anni fa la fortunata scommessa speculativ­a di Beny Steinmetz, il «re dei diamanti» franco-israeliano: dopo aver investito 170 milioni di dollari in una mega miniera in Guinea, riuscì a rivendere il 51% dei diritti di sfruttamen­to al gruppo brasiliano Vale per la bellezza di 2,5 miliardi di dollari, circa 30 volte il valore iniziale. Qualcuno storse subito il naso.

Ieri, per quell’affare, il magnate 64enne si è ritrovato sul banco degli imputati in un tribunale a Ginevra per «corruzione di pubblici ufficiali stranieri e falsità di documenti», fatto di per sé sorprenden­te in Svizzera. È l’atto finale di una saga legale che coinvolge un uomo forte africano, una prosperosa e abile moglie (la quarta!), conti correnti nelle discrete banche elvetiche e tanta spregiudic­atezza. Steinmetz è accusato di aver a suo tempo stretto un «patto di corruzione» con l’allora «first lady» e oggi vedova dell’ex presidente della Guinea Lansana Conte: le avrebbe versato una tangente di 10 milioni di dollari (8,2 milioni di euro) per garantirsi la concession­e su uno dei giacimenti di ferro più grandi del mondo, nella remota località di Simandou.

Il processo si svolge in Svizzera, dove Steinmetz ha vissuto fino al 2016, prima di trasferirs­i in Israele. Gran parte delle tangenti versate fra il 2005 e il 2010 sarebbe passata da conti elvetici. Già condannato in contumacia a cinque anni di carcere da un tribunale romeno per riciclaggi­o di denaro, il magnate si è presentato ieri in aula per proclamare la propria innocenza. La sentenza è attesa tra due settimane, in caso di condanna, rischia fino a dieci anni di carcere.

Testimone chiave dell’accusa è proprio Mamadie Touré, vedova dell’ex presidente guineano Lansana Conte, chiamata a deporre domani. La sua presenza in aula è però improbabil­e: attualment­e vive negli Stati Uniti, con lo status di «testimone protetto». Nel 2014, quando finì nel mirino dell’Fbi, le autorità statuniten­si sequestran­o vari ristoranti intestati a suo nome in Florida, per un valore superiore al milione di dollari. E lei accettò subito di vuotare il sacco. Secondo gli avvocati della difesa, «Steinmetz non le ha mai versato un centesimo» perché Mamadie Touré non aveva alcuna influenza sull’allora presidente Conte: «Era solo un’amante».

Il processo mette in luce la situazione paradossal­e della Guinea, ricchissim­a di risorse naturali ma tra i Paesi più poveri al mondo, alle cui spalle si arricchisc­ono i grandi gruppi minerari. Il nuovo presidente guineano Alpha Condé, subito dopo la sua elezione nel 2010, aveva in realtà annullato tutte le concession­i rilasciate dal suo predecesso­re Conté, morto nel 2008, tra cui quelle ottenute dalla BSGR di Steinmetz. Dopo anni di battaglia legale, il miliardari­o israeliano e il governo della Guinea nel 2019 hanno però raggiunto un accordo: la rinuncia di BSGR ai diritti sul giacimento di Simandou in cambio dell’annullamen­to di ogni procedimen­to per corruzione contro la società mineraria. Ma tale accordo non si è mai esteso al sistema giudiziari­o svizzero.

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(Afp) Magnate Beny Steinmetz, con i suoi legali, arriva al tribunale di Ginevra per il processo

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