Corriere della Sera

Nella comunità dei baby-pusher «Arrivano distrutti già a 12 anni»

La struttura di recupero a Pavia: mai visti così giovani. «Primi contatti nelle scuole»

- di Antonio Crispino

La comunità avrebbe solo sei posti, ma gli ospiti sono dodici. Quasi tutti minorenni. Oggi seduto davanti alla scrivania di Simone Feder c’è un ragazzo di 17 anni. Lo psicologo l’ha convinto da poco a entrare nella sua struttura per il recupero dei tossicodip­endenti, «La Casa del giovane» a Pavia. Faceva lo spacciator­e nel bosco di Rogoredo. Ora è sotto protezione perché quello che ha iniziato a raccontare è più di uno spaccato sul mondo della droga a Milano e provincia. Parla del suo orario di lavoro ininterrot­to dalle 8.30 del mattino fino alle 21. Solo di eroina ne vendeva 70 grammi al giorno: acquistata dal fornitore albanese a 6 euro e rivenduta a 20 euro. La comprava a etti. La «scura», la «nera», la «brutta» sono i nomignoli della droga che si pensava dimenticat­a negli anni Ottanta e invece registra un prepotente ritorno.

Parla, il 17enne, e riassume la trasformaz­ione di adolescent­i diventati pusher come lui ma prima ancora rapinatori, scippatori, aggressori, qualcuno omicida come i due ragazzini di 14 e 15 anni che a Monza hanno massacrato con 20 coltellate un uomo per una dose. Simone Feder li chiama «figli di papà cresciuti a iPhone e patatine» e sono ampiamente rappresent­ati nella sua comunità di recupero. Comprese le donne, poco più che bambine, come Alice, che nei loro 15 anni di vita hanno già messo in fila crack, erba, cocaina, eroina, prostituzi­one.

Figli di medici, avvocati, imprendito­ri, impiegati, quadri aziendali. Genitori che sapevano che i figli a 12 anni si sfinivano di coca e non sono riusciti a tirare il freno. Hanno lasciato tutto e sono venuti in questo viottolo a Pavia a piangere fuori dalla porta di Simone pregandolo perché si prendesse cura dei loro ragazzi. Quei figli li rivedono una volta alla settimana. Hanno le mani sporche di fatica, perché qui dalla carpenteri­a alla falegnamer­ia si lavora sodo e c’è il piacere di farlo. Lo spiega un quindicenn­e con i capelli tagliati ancora alla moda, il gubbino nero con il cappuccio. Qualche mese fa lo alzava sulla testa, volto coperto, per andare a rapinare la gente in strada con un cacciavite. Doveva soddisfare il bisogno di 3-4 grammi di coca al giorno. Un mostro. Così doveva apparire alle vittime quando in strada le picchiava senza un motivo, solo per divertimen­to. Il giudice minorile lo messo alla prova e ora l’unico contatto con il mondo di prima è la visita dei genitori. È così che la famiglia ricompare gradualmen­te nelle vite di questi giovanissi­mi. Che si ritrovano a guardare negli occhi la sorellina di 11 anni a cui rubavano i risparmi per comprare la droga e piangono.

Ogni tanto qualcuno scappa, poi torna, più sconfitto di prima e con danni cerebrali ancora più importanti. Il più piccolo a varcare questi cancelli è stato un ragazzino di 13 anni con un cut off (l’esame che determina il livello di droga nel sangue) che segnava più di tremila. Si è positivi superati i trecento.

«Il primo contatto di un ragazzino con la droga avviene nei bagni delle scuole medie. Il pusher non aspetta più all’uscita ma è già dentro. Alcuni frequentan­o le lezioni solo per poter spacciare. Anche nella mia comunità non erano mai arrivati ragazzi di 12 anni con poli-dipendenze certificat­e».

Mario, 16 anni, il nome vero non si può scrivere, ha iniziato perché bullizzato. Sedeva nei banchi della seconda media con qualche chilo di troppo, motivo sufficient­e per mortificar­lo. «Mi son detto: se è così che funziona allora anche io voglio diventare come loro e la cocaina mi ha dato la forza». Da vittima si è trasformat­o in carnefice, era l’incubo dei compagni. Non riesce a smettere di parlare, non fa pause. Così ha annegato la timidezza che riemerge per fargli confessare la paura più grande: «Non voglio restare solo». E non ti sentivi solo quando ti drogavi? «Ora posso dire di sì ma prima mi dava l’illusione di avere tanti amici. I ragazzi stavano con me e guardavano ammirati perché in un giorno riuscivo a procurarmi cento euro di cocaina».

Gabriele, altro nome di fantasia, ha iniziato a fare i rave party in giro per l’Italia a 15 anni. Dopo un anno i genitori lo hanno cacciato di casa. Acquistava «erba» a credito che faceva circolare durante le ore di ricreazion­e a scuola. Strafatto di tutto quello che si poteva provare, oggi ha ricordi labili. Sente il bisogno di scusarsi: «Ti dico la verità, non mi ricordo molto di quegli anni».

Milano bene

«Sono figli di papà cresciuti a iPhone e patatine», dice il responsabi­le del centro

Che in totale sono sei. Anni buttati, cancellati. La droga ha devastato la memoria, fatto terra bruciata. Da qualche mese inizia lentamente ad assorbire nozioni di carpenteri­a nel laboratori­o della comunità. Ha una buona manualità. Dalle sue mani spunta un fiore giallo di metallo. È bellissimo, è l’unica cosa colorata in mezzo a tanta ferraglia.

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Un fermo immagine tratto dal video-reportage mostra una ragazza nel boschetto di Rogoredo, a Milano, mentre si prepara a consumare una dose di droga
La piaga Un fermo immagine tratto dal video-reportage mostra una ragazza nel boschetto di Rogoredo, a Milano, mentre si prepara a consumare una dose di droga
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Un ospite racconta i reati per comprare le dosi
I reati Un ospite racconta i reati per comprare le dosi
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Psicologo Simone Feder lavora nella «Casa» di Pavia

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