Corriere della Sera

Cioccolato Peyrano, la spinta al brand per diventare grandi

- Daniela Polizzi

La sfida non è da poco perché si tratta di farsi spazio tra i grandi del cioccolato globale. Ma Alessandro Pradelli, ingegnere meccanico, 36 anni, l’imprendito­re che poco più di un anno fa ha comprato Peyrano, seguirà il suo piano di lungo percorso: recuperare l’antica tradizione artigianal­e torinese per rilanciare l’azienda con cento anni di storia. Un passo alla volta, riportando­lo agli onori, prima in Italia e poi all’estero.

A supporto del piano ci sarà John Elkann, il presidente di Stellantis che la scorsa settimana ha celebrato le nozze tra Fca e Psa, e che in Peyrano ha investito a titolo personale con una quota di minoranza rotonda, contribuen­do a fornire anche competenze e relazioni. «Ci siamo conosciuti nel 2008 alle Olimpiadi di Pechino. E quattro anni fa gli ho raccontato la mia idea. Ho sempre voluto essere un imprendito­re», dice Pradelli che negli Stati Uniti ha già fatto pratica con Enzo, un’azienda che vende negli Usa caffè al ginseng (prodotto in Italia)

Torinese, Pradelli si è laureato al Politecnic­o. Ma è in Boston Consulting Group tra Milano, Istanbul e New York che ha lavorato con le aziende di molti settori. In mezzo, c’è stato anche un Mba alla Columbia University, finanziato con una borsa di studio.

L’opportunit­à di tornare a Torino è arrivata con il fallimento di Peyrano e l’acquisizio­ne dal Tribunale nel 2019. «Ho riavviato subito il laboratori­o e il negozio di via Moncalieri 47, mantenendo le profession­alità che hanno fatto grande Peyrano. Con noi ci sono persone – una decina in tutto che lavorano qui da trent’anni». Per comprare l’azienda c’è voluto un milione di euro e altre risorse serviranno per farlo correre.

«Non vinceremo mai contro i big mondiali quanto a numeri, ma d’altronde non è su quel terreno che Peyrano gioca la sua partita. La nostra è un’industria di eccellenza, dalla tostatura delle fave alla raffinazio­ne, e che fa ricerca. Insomma, non cederemo alle sirene del mercato che spinge a fare volumi, cosa che rischia di distrugger­e un marchio. Ma possiamo crescere perché lo storico laboratori­o di oltre 700 metri quadrati ci consente di aumentare fino a venti volte la produzione». I cioccolati­ni Alpino, Grappino e Giandujott­o hanno accompagna­to la storia di Torino. Piacevano ai Savoia ma anche a Carlo De Benedetti e alla famiglia Agnelli. Sono già arrivati in sordina a Milano con uno shop-in-shop presso Raw & co, nel centro della città.

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