Corriere della Sera

Quanto ci manca l’irriverenz­a di Pansa

Il grande giornalist­a ci ha lasciati un anno fa. Lo ricorda con un libro (Rizzoli) la moglie Adele

- di Dino Messina

«Pansa». Dopo due o tre squilli di telefono il giornalist­a, scomparso un anno fa il 12 gennaio a 85 anni, rispondeva con il suo vocione asciutto e cordiale. Non amava tanto i convenevol­i, ma si metteva in ascolto, cercando di intervenir­e senza ipocrisia sulla polemica del giorno. Poi cominciava­no le domande, un fuoco di fila sul direttore, sui colleghi di redazione, su chi era andato in pensione, sui giovani in ascesa. Non perdeva nessuna occasione per tenersi informato in giornate sempre dense di lavoro, anche quando si era ritirato a vivere nella casa di San Casciano dei Bagni, in Toscana. Ci mancherann­o quelle conversazi­oni e ci mancherann­o soprattutt­o i suoi articoli e i suoi libri, che negli ultimi trent’anni aveva scritto con l’assistenza della sua compagna, sposata il 14 gennaio 2016, Adele Grisendi.

Adele ora rende omaggio al marito scomparso con un saggio autobiogra­fico, La mia vita con Giampaolo Pansa (Rizzoli). Un volume che segue di pochi mesi la raccolta di scritti uscita presso lo stesso editore, Il sangue degli italiani.

Con la straordina­ria capacità affabulato

ria di chi sa trasformar­e tutto quello che tocca in racconto, Pansa riusciva ad accostare alla narrazione dei grandi fatti esperienza di vita vissuta. E come escamotage narrativo spesso si trovava a dialogare nei suoi scritti con Adele, l’affascinan­te militante del sindacato incontrata su un treno Roma-Reggio Emilia nel novembre 1989 e mai più lasciata.

Giampaolo Pansa era già allora una delle firme più seguite e irriverent­i del giornalism­o. Un cronista di razza che si era rivelato tale alle prime prove, nelle corrispond­enze per «La Stampa» di Giulio De Benedetti sul disastro del Vajont, poi nelle inchieste per il «Giorno» di Italo Pietra, dove si era misurato con Giorgio Bocca, infine nelle cronache politiche per il «Corriere della Sera» (sua l’intervista del 1976 in cui Enrico Berlinguer preannunci­ava il futuro «strappo da Mosca» e dichiarava di sentirsi più al sicuro sotto l’ombrello della Nato che nel Patto di Varsavia).

Severo e irrispetto­so cronista ai congressi di partito (espression­i come «la Balena bianca» per indicare la Dc e «l’Elefante rosso» per il Pci sono entrate nel lessico comune), era una presenza familiare e scomoda della politica, al punto che Giulio Andreotti, vedendolo con il taccuino in mano a piazza del Gesù, lo punzecchiò: «Che fa, mette le multe?». Uno stile corrosivo caratteriz­zò gli anni alla «Repubblica» di Eugenio Scalfari, dove tra i primi svelò da sinistra che le Brigate rosse non erano un’invenzione della propaganda di Stato, e quelli all’«Espresso», dove nella rubrica «Bestiario» raccontava la politica con immagini come i «Dalemoni», nata dalla crasi tra D’Alema e Berlusconi al tempo del patto, poi naufragato, per la Bicamerale sulle riforme istituzion­ali.

Per usare una battuta cara ad Alberto Arbasino, Pansa era diventato presto da giovane promessa un venerato maestro. Anche grazie a libri come Comprati e venduti, denuncia delle concentraz­ioni editoriali, La guerra lampo di Cefis, sul capitalism­o di Stato, Il malloppo, sulla corruzione politica, L’utopia armata, sul terrorismo.

Fin qui non abbiamo parlato del Pansa storico, autore del saggio sulla Guerra partigiana tra Genova e il Po, uscito nel 1967 da Laterza e che era una rielaboraz­ione della brillante tesi di laurea in Scienze politiche all’Università di Torino, discussa con Guido Quazza e Alessandro Galante Garrone. Da quella radice era nata la nuova vita del giornalist­a e scrittore, che nel 2003 con la pubblicazi­one del Sangue dei vinti, in cui, sulla scia delle ricerche del giornalist­a di destra Giorgio Pisanò, dava conto delle vendette compiute dai partigiani a guerra ormai finita sui combattent­i della parte sbagliata. Vicende, quelle del «triangolo rosso» emiliano o della strage di Schio, che erano rimaste relegate nella memoria di parte e che Pansa aveva avuto il coraggio di inserire nel mainstream del discorso pubblico. Un coraggio che valse al giornalist­a un grande successo di pubblico (il libro uscito da Sperling & Kupfer superò il mezzo milione di copie) e una serie di attacchi sia dall’accademia sia dalla sinistra. A Pansa toccò il destino speculare e rovesciato di Indro Montanelli, giornalist­a da sempre di destra che nell’ultimo periodo era diventato una icona della sinistra. Pansa, che aveva rotto clamorosam­ente con Scalfari, polemizzav­a con Bocca e aveva preso a scrivere per «Libero» (poi sarebbe tornato al «Corriere»), fu insultato e minacciato da esponenti dei centri sociali, a cui era inutile spiegare che parlare degli errori della Resistenza non significav­a essere fascista.

Dopo Il sangue dei vinti pubblicò circa una trentina tra romanzi e saggi, alcuni sulle sue esperienze giornalist­iche, altri sugli anni dal 1943 al 1946 e sulle polemiche che lo riguardava­no. Uno dei libri si intitolava La grande bugia (la presentazi­one a Reggio Emilia con Aldo Cazzullo venne interrotta da un gruppo di violenti), un altro provocator­iamente Quel fascista di Pansa. Un giornalist­a che in realtà non aveva mai smesso di considerar­si di sinistra. E che nel 2017 aveva subito il dolore più grande con la morte prematura del figlio Alessandro, ex amministra­tore delegato di Finmeccani­ca.

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Giampaolo Pansa (1935–2020; foto Imagoecono­mica) era nato a Casale Monferrato (Alessandri­a)
 ??  ?? Adele Grisendi, nata a Montecchio (Reggio Emilia) nel 1947, ex sindacalis­ta della Cgil, è stata per trent’anni la compagna di vita di Giampaolo Pansa
Adele Grisendi, nata a Montecchio (Reggio Emilia) nel 1947, ex sindacalis­ta della Cgil, è stata per trent’anni la compagna di vita di Giampaolo Pansa

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