Corriere della Sera

I dem spiazzati riuniti su Zoom

- di Maria Teresa Meli

Il Partito democratic­o non scinderà le sue sorti da quella di Giuseppe Conte. Non ora, almeno. Ma al Nazareno masticano amaro: l’uscita del premier non è stata affatto presa bene. «L’abbiamo letta sulle agenzie. Comunque è legittima visto che è la posizione di un partito politico, i 5 Stelle. Non dovevamo mica condivider­la», fanno sapere. E c’è più di una punta di malizia in quello schiacciar­e Conte sui grillini.

Dopo quella mossa i cellulari dei big dem sono perennemen­te occupati e su Zoom si susseguono le riunioni. «La verità è che bisognereb­be commissari­are sia Renzi che il premier», è il commento di un autorevole esponente dem. Goffredo Bettini, al telefono con i compagni di partito, usa parole più felpate: «Dovrebbero tutti imparare come gestire politicame­nte le crisi. Renzi è partito per rompere, ma il ruolo del premier dovrebbe essere quello di fare sintesi».

Nicola Zingaretti convoca una riunione d’urgenza del comitato di crisi del Pd: Andrea Orlando, Dario Franceschi­ni, Graziano Delrio e Andrea Marcucci. Conte vuole andare avanti rimpiazzan­do Italia viva con i responsabi­li.

Ma il messaggio più importante è quello giunto dal Colle: niente appoggio di senatori sparsi, serve un gruppo omogeneo. Servono i nomi dei parlamenta­ri e i numeri in Aula per andare in Parlamento. E a questo riguardo al Pd non sembra prevalere l’ottimismo.

Irritazion­e con Conte

La linea del premier pronto a rompere con Italia viva non viene presa bene

Franceschi­ni sembra preoccupat­o: «Per mandare in porto un’operazione del genere con i responsabi­li ci vuole tempo e noi tempo non ne abbiamo», spiega ai compagni di partito. Zingaretti è d’accordo: «La situazione è estremamen­te grave. Nessuno vuole le elezioni, ma il rischio che si vada a votare a giugno c’è». E in qualcuno dei dirigenti dem si insinua un dubbio: «Ma non è che Conte vuole andare alla prova di forza perché sotto sotto punta al voto?».

L’altra opzione sul tavolo, quella di un governo di unità nazionale, non piace al Pd. «Escludo questa ipotesi», dice secco Zingaretti. «Non esiste», ribadisce Orlando. La riunione ha un esito interlocut­orio. Il Pd aspetterà le prossime mosse dei due contendent­i. E poi verrà convocata la direzione, «perché è quella la sede in cui decideremo», sottolinea il segretario.

Ma per il momento si stabilisce che comunque non verrà ancora abbandonat­a quella che Renzi ha battezzato la «linea Franceschi­ni». Ossia il tentativo di mediazione che da giorni, con pazienza e determinaz­ione, il ministro della Cultura ha portato avanti cercando di convincere l’ex premier e Conte ad addivenire a un compromess­o. «Dobbiamo approvare il Recovery plan , scrivere un patto di legislatur­a e poi si può procedere col cosiddetto Conte ter». Finora sia il premier che il leader di Italia viva sembrano seriamente intenziona­ti a non imboccare questa strada. Ma i dem non disperano che nelle prossime ore qualcosa possa cambiare. Anche se Renzi appare fermo. «Ogni mediazione — dice ai suoi — mi pare tempo perso. Il presidente del Consiglio ha voluto bruciare il Conte ter e alla linea Franceschi­ni ha preferito quella Travaglio-Casalino. Vuol dire che noi staremo all’opposizion­e, tanto se pensano di andare avanti per molto con i responsabi­li, si sbagliano. E poi vedrete che, come sempre, appena c’è la crisi si riaprono i giochi. E si apriranno anche nel Pd...».

Il dialogo

Si decide di insistere con la trattativa del ministro della Cultura per avviare il Conte ter

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