L’ira del premier: non indietreggio
La richiesta del senatore in Consiglio dei ministri: inserite il Mes Il capo dell’esecutivo sempre più tentato dalla conta in Aula
Irricevibile. Così da Palazzo Chigi hanno informalmente respinto l’ultima provocazione di Renzi, che giocando sulle parole ha chiarito di aver chiesto «il Mes e non Meb», quindi non una poltrona per Maria Elena Boschi, bensì i miliardi dell’Europa per combattere il Covid.
Visto il clima di veleni e coltelli può sembrare incredibile, eppure quando Giuseppe Conte è entrato alle dieci di sera al vertice sul Recovery, confidava ancora nel miracolo. «Se Renzi non esce si può ragionare», è il messaggio da «costruttore» che il premier ha chiesto ai suoi di divulgare. Ma guai a chiedergli di fare retromarcia sulla nota ultimativa del mattino, perché Conte pensa che il dietrofront tocchi a Renzi e non a lui. «Ritirare i ministri in piena pandemia è un fatto molto grave e io non posso far finta di nulla, gli italiani devono sapere di chi è la responsabilità», ha ripetuto fino a notte il premier. Poi un concetto che gli è caro in queste ore di disillusione e amarezza: «Devo tutelare la dignità politica delle istituzioni».
L’ultimo giorno del Conte bis comincia a metà mattina, quando Palazzo Chigi lancia una nota pesante come una lapide. Tre gelide righe per avvertire che, se Renzi spacca e se ne va, «per il presidente Giuseppe Conte sarà impossibile rifare un nuovo esecutivo con il sostegno di Iv». Una bomba, che in rapida (e studiata) successione viene rilanciata dai dirigenti del Movimento, per convincere che i 5 Stelle sono e saranno granitici in difesa dell’avvocato. Luigi Di Maio è spiazzato, però si allinea. Il Pd è sgomento: «È un suicidio, se bruci la strada del Conte ter e non hai i responsabili, finisce che vai a casa». Alle quattro del pomeriggio, quando i cronisti parlamentari vedono Dario Franceschini diretto verso Palazzo Chigi, pensano a un estremo tentativo di mediazione. E invece no, il capo delegazione del Pd era in fuga dalle telecamere: trattative interrotte. Ma poi tra Nazareno e Palazzo Chigi si è tornati a ragionare di crisi lampo «pilotata», come tentativo estremo. E il segnale che il filo non era del tutto spezzato è stato il rinvio a oggi pomeriggio della conferenza stampa di Renzi. Due giorni per ricucire lo strappo, se il premier si rassegnerà a imboccare la strada del Conte ter. «Se Renzi si ferma, vota il Dpcm, la proroga dello stato di emergenza e lo scostamento di bilancio, allora un rimpastino si può fare», dicevano tra loro i dem a margine del Cdm.
Conte aspetta, spera e si arrovella sulle possibili contromosse, la verità è che non ha deciso. La paura del trappolone non è svanita, così come la tentazione di resistere. Un esponente del governo assicura che Conte «è molto più determinato di quanto pensi Renzi, perché mai dovrebbe suicidarsi firmando la lettera di dimissioni?». Stando ai calcoli di un fedelissimo, «mettendo insieme i voti di Renzi, Salvini, Meloni e Berlusconi si arriva a 153, otto voti in meno della maggioranza assoluta e questo vuol dire che Conte può restare in sella anche per settimane». Modello Andreotti, che nel 1990 non si dimise e sostituì i ministri dimissionari... Ma un ministro che ha partecipato al Cdm assicura che no, «Conte non intende arroccarsi».
Parlamentarizzare la crisi resta il suo chiodo fisso, a costo di rischiare la sconfitta. Scenario assai malvisto al Colle, dove si temono forzature che rischiano di far precipitare la situazione in un momento drammatico per il Paese. L’idea di Conte in caso di strappo è andare al Senato e sfidare Renzi «alla luce del sole», come fece con Salvini nel 2019. Con durezza, senza sconti, buttandogli sulle spalle il peso di una rottura «irresponsabile», ma senza arrivare subito al voto. Il piano che sta prendendo forma nell’entourage del premier è aspettare che in parlamento nascano nuovi gruppi e poi tornare in aula per la conta. E mentre Renzi ironizza sulla nascita dell’esecutivo Conte-Mastella, la speranza di tanti nel governo è che davvero il premier abbia trovato i voti. E non quattro o cinque responsabili pronti a immolarsi per lui, ma una scialuppa solida, di una quindicina di senatori. A Palazzo Madama si parla della «sorpresa» che potrebbe fare Berlusconi, dopo che Gianni Letta è stato «sondato» da Palazzo Chigi. Ieri però il Cavaliere ha parlato al telefono con Salvini e per Mara Carfagna il soccorso azzurro è «fantascienza».
Il tema responsabili resta aperto. Diversi senatori hanno notato l’attivismo di Raffaele Fantetti, ex azzurro ora nel Misto, avvocato come il premier e fondatore dell’associazione Italia23, che pare aspiri a essere la lista della società civile che sosterrebbe Conte. Se a giugno si va votare il professore non tornerà in cattedra a Firenze, tanto che ha ripreso a girare la notizia (smentita da Palazzo Chigi) secondo cui Conte avrebbe registrato il simbolo del suo partito, «Insieme».