La sfida dei ristoratori ribelli: aprire nonostante i divieti
Sessantamila adesioni, progettano di servire ai tavoli da venerdì sera. «Siamo al punto di non ritorno»
Almeno per il momento, sulla carta e sui social, le adesioni sono arrivate a 60 mila. E a loro — i ristoratori ribelli della campagna #ioapro — si aggiungeranno migliaia di supporter in tutta Italia. Amici, colleghi, avventori simpatizzanti, pronti a dare una mano mettendosi a tavola. Soprattutto fra Milano, Reggio Emilia, Modena e Pesaro, da dove è peraltro cominciata la protesta: alzare le saracinesche e servire i clienti nonostante i divieti. Una sfida nuove misure del governo in materia di strategia anticontagio, compresa l’abolizione della vendita da asporto dopo le 18, regolata da un proprio dpcm, acronimo di Decalogo pratico commercianti motivati. Le regole principali saranno: conto alle 21.45 e locale chiuso alle 22. La mobilitazione riguarda tutte le regioni, e l’ora X è stata fissata per il tardo pomeriggio di venerdì, con repliche sabato e domenica. Sempre che le critiche delle associazioni di ca
Mobilitati sui social
Contro le nuove misure Ma le associazioni di categoria: non è il modo di manifestare
tegoria, contrarie all’iniziativa, e poi i controlli delle forze dell’ordine, non blocchino tutto. «Ci proviamo lo stesso — tiene duro Umberto Carriera, ristoratore pesarese plurisanzionato, a capo della rivolalle ta —. È una questione di sopravvivenza, siamo già al punto di non ritorno. Ci dicano quanti contagi ci sono stati nei ristoranti». «Se ci saranno impennate della curva, ci verranno addebitate, anche se non c’entriamo nulla — replica Roberto Calugi, direttore generale di Fipe Confcommercio —. Capisco che la protesta nasca dalla disperazione, e ci mancherebbe, ma bisogna fare molta attenzione ai rischi che si corrono con una simile iniziativa: multe fino a
Su Corriere.it euro, chiusure fino a un mese, denunce penali. Anche i clienti sarebbero in pericolo. Non è il modo di manifestare. Non so se ci sia qualcuno che strumentalizza — aggiunge —, a noi sconcertano le aperture e le chiusure, la mancanza di programmazione. Abbiamo già perso il 40% del fatturato, con picchi del 90% nelle città. Ma i problemi della categoria meritano un altro livello di attenzione».