Corriere della Sera

«Selezionar­e chi va curato? Il medico risponde alla sua coscienza»

- di Margherita De Bac

«La medicina dello ROMA scarto non esiste», dice Bruno Dallapicco­la, genetista, direttore scientific­o dell’ospedale Bambino Gesù, componente del Consiglio superiore di sanità e del Comitato nazionale di bioetica. La bozza del Piano pandemico ha riaperto un dibattito già affiorato quando il servizio sanitario era allo stremo. In caso di «scarsità di risorse» i trattament­i dovrebbero essere destinati «ai pazienti che hanno maggiori possibilit­à di trarne benefici», è scritto in un passaggio sull’etica dell’emergenza.

Significa lasciare indietro le persone con minori prospettiv­e di farcela?

«Il presuppost­o è che la medicina deve per definizion­e dare uguali opportunit­à di cura a tutti in modo omogeneo. Il principio dello scarto non è contemplat­o. A maggior ragione lo scarto generalizz­ato, per categorie, basato ad esempio sull’età». L’età potrebbe essere una discrimina­nte?

«Per nessuna ragione. Io ho 80 anni e mi sento male al pensiero di poter essere discrimina­to solo per questioni anagrafich­e. No, non corriamo questo rischio».

Però può capitare che in mancanza di mezzi e uomini si debba decidere a chi dare la

precedenza.

«Proprio perché il medico non è un automa, quando si trova di fronte a una limitata disponibil­ità di risorse è obbligato ad assegnare delle priorità se le risorse non sono sufficient­i. Guardiamo cosa accade con i vaccini anti Covid. Le dosi non bastano per tutti e allora si è deciso di darle in prima battuta a operatori sanitari e anziani. Inoltre una scelta non è per sempre. Viene rivista, rivalutata e se necessario modificata».

Se però si è pensato di inserire nel Piano pandemico delle linee di indirizzo sui comportame­nti etici in emergenza non significa che il problema della scelta esiste?

«Linee di indirizzo possono essere utili, il medico però non deve rimanere imbrigliat­o in schemi rigidi. Altrimenti sarebbe un semplice esecutore. Profession­alità, conoscenza e coscienza vengono prima. È questo che si intende per occhio clinico: la valutazion­e caso per caso del trattament­o più idoneo per ciascuno. Succede ogni giorno, in ogni ospedale anche se non c’è pandemia».

Quindi?

«Il medico si muove in scenari drammatici. Ogni giorno deve decidere sull’opportunit­à o meno di somministr­are un trattament­o innovativo che non può essere esteso a tutti. La scelta ricade sul malato che ne può trarre benefici maggiori. E quando parliamo di risorse ci riferiamo a questo. I farmaci, i posti letto, i medici, gli infermieri non sono una potenziali­tà sconfinata come vorremmo».

Si riferisce alla sanità italiana?

«La sanità italiana funziona bene, è buona e generosa e la testimonia­nza sono i tanti colleghi morti sul campo, contagiati dal virus».

Quali sono le «cure migliori e appropriat­e» citate nel documento?

«La cura migliore e appropriat­a è quella che viene offerta in base al contesto in cui si opera, quindi le condizioni cliniche e l’ambiente, e nell’esclusivo interesse del malato. È l’opposto dell’accaniment­o terapeutic­o. Finire intubati in terapia intensiva non sempre è la migliore cura anche se ci fossero migliaia di letti liberi e ventilator­i a volontà».

Una visione forse un po’ romantica della medicina?

«È una visione che ha resistito nei secoli pur nel progresso della tecnologia».

La medicina deve dare uguali opportunit­à di cura a tutti in modo omogeneo. Il principio dello scarto non è contemplat­o. A maggior ragione per categorie

I farmaci, i posti letto, i medici e gli infermieri non sono una potenziali­tà sconfinata come vorremmo: quando parliamo di risorse ci riferiamo a questo

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