«Selezionare chi va curato? Il medico risponde alla sua coscienza»
«La medicina dello ROMA scarto non esiste», dice Bruno Dallapiccola, genetista, direttore scientifico dell’ospedale Bambino Gesù, componente del Consiglio superiore di sanità e del Comitato nazionale di bioetica. La bozza del Piano pandemico ha riaperto un dibattito già affiorato quando il servizio sanitario era allo stremo. In caso di «scarsità di risorse» i trattamenti dovrebbero essere destinati «ai pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne benefici», è scritto in un passaggio sull’etica dell’emergenza.
Significa lasciare indietro le persone con minori prospettive di farcela?
«Il presupposto è che la medicina deve per definizione dare uguali opportunità di cura a tutti in modo omogeneo. Il principio dello scarto non è contemplato. A maggior ragione lo scarto generalizzato, per categorie, basato ad esempio sull’età». L’età potrebbe essere una discriminante?
«Per nessuna ragione. Io ho 80 anni e mi sento male al pensiero di poter essere discriminato solo per questioni anagrafiche. No, non corriamo questo rischio».
Però può capitare che in mancanza di mezzi e uomini si debba decidere a chi dare la
precedenza.
«Proprio perché il medico non è un automa, quando si trova di fronte a una limitata disponibilità di risorse è obbligato ad assegnare delle priorità se le risorse non sono sufficienti. Guardiamo cosa accade con i vaccini anti Covid. Le dosi non bastano per tutti e allora si è deciso di darle in prima battuta a operatori sanitari e anziani. Inoltre una scelta non è per sempre. Viene rivista, rivalutata e se necessario modificata».
Se però si è pensato di inserire nel Piano pandemico delle linee di indirizzo sui comportamenti etici in emergenza non significa che il problema della scelta esiste?
«Linee di indirizzo possono essere utili, il medico però non deve rimanere imbrigliato in schemi rigidi. Altrimenti sarebbe un semplice esecutore. Professionalità, conoscenza e coscienza vengono prima. È questo che si intende per occhio clinico: la valutazione caso per caso del trattamento più idoneo per ciascuno. Succede ogni giorno, in ogni ospedale anche se non c’è pandemia».
Quindi?
«Il medico si muove in scenari drammatici. Ogni giorno deve decidere sull’opportunità o meno di somministrare un trattamento innovativo che non può essere esteso a tutti. La scelta ricade sul malato che ne può trarre benefici maggiori. E quando parliamo di risorse ci riferiamo a questo. I farmaci, i posti letto, i medici, gli infermieri non sono una potenzialità sconfinata come vorremmo».
Si riferisce alla sanità italiana?
«La sanità italiana funziona bene, è buona e generosa e la testimonianza sono i tanti colleghi morti sul campo, contagiati dal virus».
Quali sono le «cure migliori e appropriate» citate nel documento?
«La cura migliore e appropriata è quella che viene offerta in base al contesto in cui si opera, quindi le condizioni cliniche e l’ambiente, e nell’esclusivo interesse del malato. È l’opposto dell’accanimento terapeutico. Finire intubati in terapia intensiva non sempre è la migliore cura anche se ci fossero migliaia di letti liberi e ventilatori a volontà».
Una visione forse un po’ romantica della medicina?
«È una visione che ha resistito nei secoli pur nel progresso della tecnologia».
La medicina deve dare uguali opportunità di cura a tutti in modo omogeneo. Il principio dello scarto non è contemplato. A maggior ragione per categorie
I farmaci, i posti letto, i medici e gli infermieri non sono una potenzialità sconfinata come vorremmo: quando parliamo di risorse ci riferiamo a questo