Corriere della Sera

Washington in stato di guerra

Strade vuote, sbarrament­i e 150 mila soldati L’Fbi avverte: rischio di attacchi armati nella capitale e nei 50 parlamenti locali

- dal nostro corrispond­ente Giuseppe Sarcina

È il silenzio ansiogeno di una città in apnea, ogni tanto spezzato dal brusio lontano dei trapani o dall’acuto improvviso delle sirene. Washington aspetta il 20 gennaio, il giorno dell’Inaugurazi­one della presidenza di Joe Biden, come una località sull’Oceano attende l’impatto di un uragano.

I camion scaricano i pannelli di legno per coprire le vetrine dei negozi, delle banche, degli alberghi. Il centro è vuoto. La polizia ha chiuso alcune strade, mettendo di traverso i camion del genio militare. Il traffico sulle arterie principali, invece, è filtrato dalle pattuglie di agenti.

La sindaca della città, Muriel Bowser, ha dichiarato lo stato di emergenza per 15 giorni. Ma il coprifuoco vero e proprio, con l’ordine tassativo di rientrare alle ore 18, è durato solo dal 6 al 7 gennaio. Le autorità, tutte le autorità, politiche e di polizia, sono in evidente apprension­e. Nessuno vuole, né può permetters­i di sbagliare ancora. Questa volta non potranno esserci scuse. C’è tutto il tempo per prepararsi. L’Fbi avverte che il 20 gennaio ci potranno essere «attacchi armati» a Capitol Hill, ma anche alle sedi dei parlamenti nei 50 Stati dell’Unione. Nei giorni scorsi, invece, i gestori di Twitter spiegavano di aver individuat­o parecchi messaggi che pianificav­ano attacchi per il prossimo fine settimana, sabato 16 e, soprattutt­o, domenica 17. Come impedire alle milizie trumpiane di tornare? Si stanno ancora studiando diverse ipotesi, compresa quella drastica di interrompe­re i collegamen­ti ferroviari e per via aerea. Per ora esce allo scoperto Chuck Schumer, il prossimo leader della maggioranz­a democratic­a al Senato: «Chiedo all’Fbi e alle autorità di inserire tutti coloro che sono entrati illegalmen­te nel Congresso nella lista nera della Tsa (la Transporta­tion security administra­tion ndr), in modo che non possano prendere voli diretti a Washington».

Ieri, intanto, squadre di operai stavano recintando, con reti alte due metri e mezzo, la grande striscia verde della National Mall, che va dal Lincoln Memorial all’obelisco dedicato a Washington, fino al Cupolone del Congresso. Rimarranno lì per due settimane, almeno fino a domenica 24 gennaio.

La Casa Bianca è già sigillata da tempo. Capitol Hill dal 7 gennaio. Il grande parco sul lato Ovest, quello assaltato dai supporter di Trump, è protetto da due linee di sbarrament­o. Un anello più esterno formato da semplici transenne. Poi, settanta-ottanta metri più in là, da barriere metalliche di tre metri circa, ancorate al terreno da basi in cemento. All’interno vediamo piccole pattuglie, non più di quattro-cinque soldati, più o meno ogni cinquanta metri. La Guardia Nazionale, finalmente, è stata mobilitata in forze. Il Pentagono, i Governator­i del Maryland e della Virginia hanno inviato circa 15 mila soldati nella capitale degli Stati Uniti. È un contingent­e da zona di guerra. Nessuno, però, sta sollevando obiezioni. Brucia ancora il tragico e grossolano errore, si vedrà se colposo o politicame­nte doloso, commesso alla vigilia del 6 gennaio. Risultato: cinque morti, tra i quali l’agente Brian Sicknick, 42 anni, da dodici anni in servizio al Congresso.

Ai piedi della colonna del Peace Monument, proprio di

I gestori di Twitter: messaggi su proteste e attacchi nel weekend e per il 20 gennaio

fronte a Capitol Hill, i colleghi hanno collocato le sue foto, con la scritta «Riposa in Pace, Eroe». Ci sono fiori, disegni con i cuori rossi e rosa, bandiere degli Stati Uniti.

Il 4 gennaio la sindaca Bowser aveva chiesto lo schieramen­to solo di un centinaio di militari, piazzati poi a dirigere il traffico, per non dare l’impression­e di «militarizz­are» Capitol Hill. Una preoccupaz­ione condivisa dai due Sergeant at Arms, i responsabi­li per la sicurezza della House of Representa­tives e del Senato. Il ministero della Difesa, nel pieno dell’emergenza, aveva incredibil­mente esitato. E solo alle 17, dopo quattro ore di battaglia, abbiamo visto arrivare sul posto circa mille unità della Guardia Nazionale.

Da qui al 20 gennaio saranno dieci volte tanto, anche se il Comando ha deciso di mimetizzar­le, tenerle al coperto negli edifici vicini al Parlamento o nelle caserme. Per ora l’allerta è garantito dalle pattuglie della Metropolit­an police.

L’idea è quella di non asfissiare completame­nte la mobilità e la vita civile. Ci sono, però, alcune scelte curiose. Per esempio, gli edifici del Fondo Monetario e della Banca Mondiale sono chiusi, ma senza alcuna protezione. La piccola ambasciata del Messico, che sta proprio di fronte, si è invece ritratta in una corazza di legno. I monumental­i Archivi di Stato sono guardati a vista da quattro auto civetta. Stesso discorso per il castellett­o dell’antico Ufficio Postale, oggi Trump Hotel. Poco più in là, invece, lo splendido National Museum of African American History, inaugurato nel settembre 2016 da Barack Obama con Stevie Wonder, è completame­nte sguarnito.

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Da sinistra, la Guardia Nazionale a Washington, la Speaker Nancy Pelosi a Capitol Hill, un vetro rotto al Campidogli­o e il ricordo per le vittime dell’attacco (Epa, Ap)
Capitol Hill Da sinistra, la Guardia Nazionale a Washington, la Speaker Nancy Pelosi a Capitol Hill, un vetro rotto al Campidogli­o e il ricordo per le vittime dell’attacco (Epa, Ap)
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