Trovati due cadaveri legati nella diga dei morti di mafia Potrebbero essere i resti degli imprenditori scomparsi
I Maiorana, padre e figlio, spariti da Palermo nel 2007
È ancora solo una pista PALERMO da confermare nei laboratori del Ris dei carabinieri, ma i resti di due cadaveri trovati nella secca di una diga a pochi chilometri da Corleone riaccendono le speranze di avere individuato i corpi di due imprenditori, Stefano e Antonio Maiorana, padre e figlio, scomparsi il 3 agosto 2007.
Ultima traccia un’auto abbandonata a due passi dall’aeroporto di Palermo. Una messa in scena per far pensare ad una fuga, a pochi chilometri dai cantieri delle villette che i due imprenditori stavano costruendo a Isola delle Femmine. E dove li hanno cercati anche scavando tra le fondamenta e un terrapieno.
Il rilievo del Dna da quello che è apparso ai sommozzatori come un macabro ammasso di ossa riaccende soprattutto le speranze di una donna straziata, Rossella Accardo, ex moglie e madre delle due vittime. Un dolore acuito dal suicidio di un altro figlio, disperato davanti alla tragedia.
Lei chiede verità da allora, ma proprio lo scorso dicembre la Procura della Repubblica di Palermo ha deciso di archiviare le indagini ed imprimere uno stop alle ricerche. Una scelta osteggiata con una opposizione dalla famiglia e che, attraverso l’avvocato Giacomo Frazzitta, approderà in marzo davanti a un Gip per le decisioni finali.
Il pietoso rinvenimento avvenuto prima di capodanno ai bordi della diga con un basso livello d’acqua riapre dunque la partita. Adesso si dovrà indagare su queste due persone fatte affogare con una corda legata a un blocco di cemento. Reperti che potrebbero portare ad un ripensamento, anche in Procura.
Almeno in attesa delle analisi di laboratorio affidate ai carabinieri del Ris di Messina che potranno confrontare il Dna con quello della signora Accardo. È quanto sostiene proprio l’avvocato Frazzitta deciso a battersi per la prosecuzione delle indagini su quello che viene definito un sequestro con esecuzione e occultamento di cadaveri. Una tesi che, stando alle ultime ipotesi fatte dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dal sostituto Roberto Tartaglia, prima del trasferimento a Roma come vicedirettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), ruoterebbe soprattutto attorno a un faccendiere un tempo vicino all’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, l’ingegnere Francesco Paolo Alamia, frattanto deceduto. Una figura ambigua. Un personaggio riapparso, dopo tante vicende giudiziarie, proprio nei cantieri dei Maiorana dove si sarebbe verificata una violenta lite. La causa sarebbe legata a foto compromettenti che Maiorana padre avrebbe minacciato di diffondere se non fossero cessate delle pretese di Alamia sui suoi affari.
Un vago movente quindi a luci rosse finalizzato alla cessione delle quote di due società da parte di Alamia. Di qui la lite che, stando a un testimone, avrebbe preceduto di poco la scomparsa degli imprenditori e il ritrovamento della loro auto nel parcheggio del «Falcone e Borsellino».
Un margine di incertezza avvolge questa vicenda che solo la scoperta di quei resti fa tornare in cronaca. È un altro giallo che si aggiunge ai misteri di un bacino artificiale conosciuto negli anni Settanta come Diga Garcia, poi intitolata a Mario Francese, il cronista di giudiziaria del Giornale di Sicilia ucciso anche perché aveva scoperto che sugli appalti per costruirla c’era la zampata di Cosa nostra e in particolare di una ditta allora dal nome insignificante, Ri.Sa. Fu Francese a decodificare la sigla parlando di «Riina Salvatore».
Una diga dove negli ultimi anni sono stati recuperati quattordici cadaveri. Un piccolo cimitero della mafia. Ma senza la possibilità di procedere a confronti. Come potrebbe accadere stavolta.
Da 14 anni Rossella Accardo, moglie e madre, non perde le speranze