Corriere della Sera

Il sequestro di Edith e Luca «Minacce, catene, bastonate Poi ci siamo convertiti»

Per 450 giorni con gli estremisti islamici: il racconto nel libro della giovane canadese rapita in Mali con l’architetto veneto

- di Andrea Priante (Ansa e Afp)

«Non ci sono colpevoli, né vincitori né vinti. Siamo riusciti a riconquist­are la vita che i kalashniko­v ci avevano tolto, prima che fosse troppo tardi. Continuo a pensare a coloro che sono ancora sequestrat­i, nel mondo» riflette Luca Tacchetto in una lettera alla «sua» Edith Blais.

Sono trascorsi dieci mesi dalla liberazion­e dell’architetto padovano e della fidanzata canadese, rapiti in Burkina Faso nel dicembre del 2018 e rimasti per 450 giorni nelle mani di jihadisti collegati al Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani. Un sequestro su cui ora prova a fare chiarezza la stessa Edith con «Le Sablier», un libro pubblicato da Éditions de l’Homme che uscirà in francese il 20 gennaio e che si chiude proprio con la lettera del trentenne di Vigonza. «Non ricordo più — scrive Tacchetto — se prima di questa esperienza fossi così consapevol­e di ogni piccolo respiro di vita: il passato comincia già a perdersi nelle nebbie».

Il libro vuole proprio trascinare fuori dalla nebbia dei ricordi ciò che è stato. Il 20 novembre 2018 i due trentenni partono per quella che pareva «un’avventura incredibil­e, un po’ pericolosa ma saremmo stati attenti»: dal Veneto al Togo, su una vecchia Renault. Invece il viaggio si ferma in Burkina Faso, a metà dicembre, nel Parco degli Elefanti: a meno di 50 chilometri dal confine «ci aspettavan­o sei uomini in turbante — scrive Edith — armati di kalashniko­v (…) Quattro di loro si gettarono su Luca, urlando, puntandogl­i contro le pistole come pazzi...». Il capo del gruppo «ci ha detto che erano jihadisti, soldati che combattono lungo la strada di Allah, e che li avremmo aiutati nella loro missione».

Arrivati in Mali, vagano per mesi nel deserto cambiando carcerieri e nascondigl­i, mangiando carne di montone e grasso fritto. «Ci hanno fatto indossare abiti tipici e degli enormi pantaloni di cotone che dovevamo legare con una corda. I miei vestiti erano viola e quelli di Luca blu». Tra i sequestrat­ori, perfino alcuni bambini-soldato: «Potevano avere dai 13 ai 15 anni, militari in miniatura con in mano grandi kalashniko­v». Dopo un paio di mesi, per ottenere migliori condizioni di prigionia, i due ostaggi intraprend­ono uno sciopero della fame, durato 25 giorni. «Luca è molto testardo. Dalle sue parole ho capito che avremmo digiunato come combattent­i». Per farli desistere, i sequestrat­ori tolgono loro anche la possibilit­à di bere. «Al quarto giorno senz’acqua, Luca ha avuto un’idea: “Berrò la mia urina”. Si alzò e uscì dal rifugio...».

Il 4 marzo 2019 Edith viene affidata a un gruppo nomade che gestisce anche altre prigionier­e. Con loro rimane undici mesi, e viene costretta a convertirs­i all’Islam. Il carceriere non le lascia scelta: «Diventerai musulmana! Se morissimo e ci trovassimo entrambi davanti a Dio, mi chiederebb­e perché non ti ho convertita. Cosa dovrei rispondere? Che ho provato, ma tu non volevi ascoltarmi? No!». E lei finge di accettare: «Mi sono lavata e ho indossato l’hijab (...) Non mi pento della mia scelta: dovevo sopravvive­re e la conversion­e era il male minore. Oggi non ho conservato nulla di questa religione». Agli inizi del 2020 i sequestrat­ori le concedono di riunirsi a Tacchetto, che nel frattempo ha abbracciat­o anche lui la nuova fede. Una scelta arrivata dopo un tentativo di fuga terminato nel peggiore dei modi: «Mi hanno riportato al campo — le ha confidato — e mi hanno colpito con un bastone, legato a un albero, sotto il sole per giorni. Poi per due mesi sono rimasto con le catene alle caviglie, giorno e notte (...) A novembre mi sono convertito all’Islam (...) e per loro adesso il mio nome è Sulayman». La canadese, invece, sceglie di chiamarsi Asiya.

I due provano nuovamente a scappare. Lo fanno una notte di marzo del 2020, dopo 15 mesi di prigionia, con Luca che, scalzo, è costretto a utilizzare stracci come scarpe. Riescono a raggiunger­e la strada per Kidal e a fermare un camion, che però viene intercetta­to dai mujaheddin. L’autista nega di aver visto due occidental­i e così salva loro la vita. «Il nostro angelo custode ha fermato il camion a Kidal, davanti a un edificio governativ­o. Eravamo liberi!».

 ?? (Ansa) ?? Insieme Luca Tacchetto, 31 anni, architetto di Vigonza (Padova), con la fidanzata Edith Blais, 35 anni, canadese. La coppia fu rapita in Burkina Faso da nomadi collegati a gruppi jihadisti il 16 dicembre 2018. Riuscirono a liberarsi il 14 marzo 2020
(Ansa) Insieme Luca Tacchetto, 31 anni, architetto di Vigonza (Padova), con la fidanzata Edith Blais, 35 anni, canadese. La coppia fu rapita in Burkina Faso da nomadi collegati a gruppi jihadisti il 16 dicembre 2018. Riuscirono a liberarsi il 14 marzo 2020
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In alto, Luca Tacchetto ed Edith Blais nel deserto in una foto precedente al loro rapimento. Al centro, durante la cena con il francese Robert Guilloteau nella sua villa di Bobo Dioulasso, in Burkina Faso, il 15 dicembre 2018, il giorno prima del rapimento. In basso, in occasione del’incontro con l’ambasciato­re dopo 450 giorni di prigionia e la liberazion­e
Gli scatti In alto, Luca Tacchetto ed Edith Blais nel deserto in una foto precedente al loro rapimento. Al centro, durante la cena con il francese Robert Guilloteau nella sua villa di Bobo Dioulasso, in Burkina Faso, il 15 dicembre 2018, il giorno prima del rapimento. In basso, in occasione del’incontro con l’ambasciato­re dopo 450 giorni di prigionia e la liberazion­e

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