Corriere della Sera

«Gorizia era divisa in due anche se non c’era un muro»

- Nicola Fortuna, Milano

Ho letto la lettera (Corriere, 6 gennaio) «Quel muro a Gorizia che in realtà non è mai esistito». Il mio contributo, in effetti è diverso e i ricordi si stagliano nitidi nella mia mente.

Mi recai a Gorizia agli inizi degli anni 60 da giovane in viaggio di studio sui luoghi della Grande guerra e soggiornai una notte in un albergo, alla fine di un viale alberato, prospicien­te la piazza dove trovasi la stazione ferroviari­a asburgica di Monte Santo.

Il piazzale era diviso in due, una buona parte al di là di una linea di confine delimitata da cavalli di Frisia e reticolati con filo spinato e al di sopra dell’edificio svettava illuminata una grande Stella rossa. Faceva freddo e durante la notte vi era un via vai continuo di guardie di confine jugoslave armate con cani poliziotto al guinzaglio in perlustraz­ione. Non ho il ricordo di muri, ma era evidente che la libertà finiva prima dei reticolati, e i soldati jugoslavi, avvolti in pastrani e colbacco naturalmen­te decorato di stella rossa sul frontale, non esprimevan­o sentimenti di fratellanz­a. Prima di dormire stetti a lungo alla finestra della mia camera a osservare e ne riportai un ricordo lugubre e di grande tristezza.

Non era necessario un muro per capire che le dolorose vicende della guerra avevano diviso in due una città e chissà per quanto tempo (!?) come nelle zone rurali dove la casa restava in Italia e la stalla in Jugoslavia.

Poi, qualche decennio dopo, tutto cambiò.

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Il lettore racconta la sua esperienza giovanile nella città di Gorizia, negli anni Sessanta: non ha il ricordo di muri, ma era chiaro che la città fosse divisa in due

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