Corriere della Sera

Novamont più forte nelle bioplastic­he L’acquisto di BioBag

- Giuliana Ferraino

Il 2020 è stato dominato dalla pandemia, ma per Novamont, azienda di Novara leader mondiale delle bioplastic­he, con circa 270 milioni di fatturato e 1.800 tra brevetti e domande di brevetti, ha segnato «l’inizio di una nuova fase di accelerazi­one», spiega la Ceo Catia Bastioli. Che punta a «più che raddoppiar­e il fatturato entro i prossimi 5 anni». L’ultimo passo è l’acquisizio­ne in Norvegia di BioBag, gruppo a controllo familiare all’avanguardi­a nel packaging e la raccolta separata del rifiuto umido, per 30 milioni (il prezzo non è stato pubblicizz­ato). L’unione ne fa «il gruppo più integrato nelle bioplastic­he» e pone le basi per l’ulteriore espansione della B-Corp italiana nell’Est Europa, negli Usa e in Australia.

«E’ un’acquisizio­ne strategica», perché «ci permette di spostare il nostro modello di sviluppo territoria­le e di raccolta differenzi­ata in molte altre regioni insieme a Biobag, nostro primo cliente/partner importante fin all’inizio degli anni ‘90», afferma la top manager, 63 anni e laurea in chimica. «Abbiamo la stessa cultura, grazie a 25 anni di partnershi­p. La catena del valore è complement­are, perché Novamont è focalizzat­a soprattutt­o a monte e ha sviluppato la filiera del Mater-Bi, mentre BioBag è concentrat­a a valle, in aree geografich­e dove noi non siamo presenti, essendo un pioniere nello sviluppo e nella distribuzi­one di molte applicazio­ni compostabi­li, specializz­ato anche nei servizi di supporto. Inoltre la sua robusta piattaform­a di distribuzi­one sarà al servizio dei nostri partner». La sfida? «Capire quali sono le esigenze del territorio e offrire prodotti su misura con un basso impatto ambientale». L’Italia sul tema di rigenerazi­one territoria­le dà lezione al mondo, compresa New York, dove Novamont sta sperimenta­ndo la raccolta differenzi­ata sul modello di Milano. «Il nostro Paese è leader anche in bioeconomi­a. Sarebbe un peccato non sfruttare questo vantaggio, l’Italia può essere un grande hub per il Mediterran­eo. Il green deal dà una grande spinta, grazie al Recovery Fund. Ma non bastano tecnologie specifiche, i progetti devono supportare intere filiere, perché la bioeconomi­a circolare si gioca sulle Regioni e sui progetti di territorio».

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